L'UDIENZA
TREVISO In attesa che il processo entri nel vivo con l'audizione dei

Martedì 4 Maggio 2021
L'UDIENZA
TREVISO In attesa che il processo entri nel vivo con l'audizione dei testimoni, ieri è iniziata la partita a scacchi tra la Procura di Treviso e Vincenzo Consoli, l'ex amministratore delegato ed ex direttore generale di Veneto Banca finito alla sbarra per rispondere le accuse di ostacolo alla vigilanza bancaria, aggiotaggio e falso in prospetto. Un primo round che ha regalato soddisfazioni a entrambe le parti. Uniche deluse, al momento, le parti civili: oltre un terzo delle costituzioni presentate sono state rigettate. Nello specifico 370 posizioni che il collegio del tribunale di Treviso, presieduto dal giudice Umberto Donà (a latere i giudici Carlotta Brusegan e Alberto Fraccalvieri) ha escluso perché hanno già ottenuto un accordo transattivo con l'ex popolare ottenendo il 15% del valore degli investimenti azionari effettuati e firmando un patto di rinuncia a ogni pretesa risarcitoria successiva. A processo ne rimangono poco meno di 600, ed è un punto a favore della difesa di Consoli.
IL TRASFERIMENTO
Le eccezioni presentate dagli avvocati Costabile e Di Meglio sono però state quasi tutte rigettate. A cominciare da quella legata alla competenza funzionale del tribunale di Treviso. I legali di Consoli avevano infatti chiesto di trasferire il procedimento a Trento per un presunto conflitto in capo a due magistrati (un giudice di Venezia e un procuratore onorario di Treviso) che nel marzo 2016 risultavano essere in possesso di azioni di Veneto Banca. Argomento definito «suggestivo» dalla corte ma che «non può essere accolto» in quanto manca il coinvolgimento concreto dei due magistrati (entrambi non hanno promosso alcuna iniziativa contro l'istituto di credito, ndr) e dunque il danno subito.
LE RICHIESTE
La difesa dell'ex amministratore delegato ed ex direttore generale di Veneto Banca avevano anche chiesto la nullità del decreto di rinvio a giudizio per una serie di motivazioni. Tutte rigettate. La corte ha dichiarato che i capi d'imputazione non sono indeterminati ma contengono una «descrizione sufficientemente chiara ed esaustiva» delle contestazioni che dovranno poi essere provate a dibattimento. La richiesta di rinvio per legittimo impedimento presentata dall'avvocato Costabile, colpito dal Covid nell'ottobre scorso, era stata giustamente non accolta perché in udienza preliminare non era stata compiuta alcuna attività processuale rilevante. Al di là di altre questioni tecniche, il tribunale ha anche deciso che Intesa San Paolo e la liquidazione coatta amministrativa di Veneto Banca non debbano essere chiamate in causa come responsabili civili. Ha inoltre ammesso Federconsumatori e Adiconsum come parti civili ma soltanto (come tutte le altre) per i reati di aggiotaggio e falso in prospetto). Al contrario, la Banca d'Italia e la Consob potranno formulare una richiesta risarcitoria soltanto per il reato di ostacolo alla vigilanza bancaria. Esaurite dunque le questioni preliminari, è tutto pronto per iniziare con l'audizione dei testimoni che inizierà lunedì prossimo: i primi a essere sentiti saranno gli uomini della guardia di finanza che hanno condotto le indagini sul crac di Veneto Banca.
LE ACCUSE
L'ex amministratore delegato di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, è accusato di aver comunicato a Bankitalia, tra il 2012 e il 2013, un patrimonio gonfiato perché dai 2,3 miliardi dichiarati dovevano essere tolti 430 milioni di azioni baciate, 131 di accantonamenti su rischi aggiuntivi e ulteriori perdite su crediti per 1,1 miliardi, oltre a 600 milioni di euro in più di crediti in sofferenza. Se contabilizzati, il patrimonio da 2,3 miliardi sarebbe sceso a 613 milioni. Sull'ex popolare si era accentrato l'interesse degli ispettori della Banca d'Italia che avevano effettuato un accesso ai bilanci il 15 aprile e 9 agosto 2013, evidenziando come il valore delle azioni fosse «incoerente con la situazione finanziaria della società e con il contesto economico». Consoli avrebbe insomma approfittato dell'insufficiente attività di controllo svolta dal Collegio dei sindaci e dalla società incaricata della revisione dei bilanci, la PricewaterhouseCoopers. L'ex amministratore delegato poi, consapevole di questa situazione che ha portato danni ai sottoscrittori per oltre 107 milioni di euro, avrebbe allora indotto in errore le direzioni territoriali, funzionari e impiegati di banca, a cui spettava il compito della collocazione delle azioni.
Giuliano Pavan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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