L'INTERVISTA
Michela Cescon ama i punti di svolta. Quelli in cui esistenze fino

Martedì 28 Novembre 2017
L'INTERVISTA Michela Cescon ama i punti di svolta. Quelli in cui esistenze fino
L'INTERVISTA
Michela Cescon ama i punti di svolta. Quelli in cui esistenze fino a quel momento anonime si squarciano, lasciando affiorare realtà ingovernabili, sordide, agghiaccianti. Sono colpi di sole artistici che l'attrice trevigiana cerca da sempre. E trova. Sin dai tempi di Luca Ronconi, che la formò a teatro, o di Matteo Garrone, che la lanciò in Primo amore. Senza scordare quel Valter Molosti che nel 2004 la guidò in Giulietta facendole vincere il Premio Ubu. Ed è proprio con Molosti che Michela Cescon torna ora a collaborare in Talking Heads 2, la pièce tratta dai monologhi del drammaturgo inglese Alan Bennett, in scena oggi e domani all'Accademico di Castelfranco (ore 21). Una pièce folgorante dove l'attrice dà voce, corpo e anima - ironicamente tormentata - a due donne a piede libero. Come la Miss Fozzard del primo racconto, una gentile signora di mezza età che, cambiando podologo, riesce a dare una svolta alla propria vita. O come l'infelice casalinga Rosemary di Notti nei giardini di Spagna, secondo pezzo dello spettacolo, che entrando nella cucina della vicina di casa scopre che significa dirsi tutta la verità sul proprio matrimonio.
Michela, cos'ha di così speciale Alan Bennett per lei?
«Un genio. E imparandolo a memoria, alla fine capisci quanto sapiente sia la costruzione dei testi, così ricchi, pieni, stratificati. Bennett semina benissimo i passaggi, e tutto poi torna».
Sono racconti neri, amari, sia pure con humour tipicamente british.
«Inquietano, è vero. Dietro il tocco ironico e apparentemente leggero, si cela il disastro delle vite. Bennett sa racchiudere quelle vite attraverso pochi tratti. Che però hanno una profondità ineguagliabile. Sono convinta che lo spettacolo possa piacere in Veneto: in fondo ci appartengono molto questi giardinetti ordinati che dietro nascondono un po' di tutto».
Com'è tornare a lavorare con Molosti dopo tanti anni?
«Bello. Da tempo volevamo riprovarci, ma non ci riuscivamo mai. Poi quest'estate mi ha chiamato, dicendomi che voleva lavorare su Alan Bennett, e ha ritradotto e riadattato Talking heads 2 (in Italia Il gioco del panino pubblicato da Adelphi, ndr). Sembriamo ripartiti da Giulietta. Valter è attento, è un regista che mi lascia andare. Sa come e dove collocarmi. In un lavoro teatrale lo spazio è fondamentale, se è sbagliato non si salva nessuno. Quel genio della Duse! Entrava sempre lateralmente, non te ne accorgevi, arrivava dai lati e poi si impadroniva di tutto».
E voi come fate?
«C'è una bellissima scena fatta a scatola, una sorta di casetta piccola, e io sembro un gigante. Sono tutte case dove entrano le donne. Perché è all'interno delle case dove avviene tutto».
Perché proprio quei monologhi?
«Sono folgoranti. Sono due pezzi diversi, il primo più scoppiettante, il secondo è un adagio. La prima donna riesce a trovare la sua vita, massaggiando la schiena. Ma la gente mal sopporta che qualcuno possa avere una vita bella dove accadono cose inaspettate. Pensa che sia una cosa scandalosa».
Il secondo monologo è più cupo.
«Entro in scena con un abito che sembra una pianta. Il testo parte adagio, ma è molto emozionante. Si parla di amicizia, di amore, di donne. C'è una donna che in fondo si innamora di un'altra donna che ha ucciso il marito. La va a trovare in prigione, scopre cose nuove. E poi in realtà nulla cambia. L'amarezza resta sempre sul fondo».
Come si prepara?
«Ti devi mettere lì a ripetere e ripetere per ore e ore. Avendo bambini, devo per forza dividere il lavoro: ogni giorno mi ritaglio del tempo per impormi un tot di righe. Prima arriva la memoria, poi c'è l'interpretazione. La memoria è una brutta bestia. Dopo un po' che lavori, vedi parole ovunque. Di solito io cammino e parlo, ormai a casa lo sanno. Sono in memoria. Io devo imparare la parte facendo altro».
In sala c'è adesso La ragazza nella nebbia di Carrisi, dove non soltanto insulta Toni Servillo ma anche lo insulta...
«Che divertimento. Non potevo resistere! Quando capita di poter dare dello str.. a Toni! Il film è andato benissimo: è tutto al maschile, e il mio ruolo, quello della poliziotta, è piccolo ma va benissimo. E ci siamo divertiti tanto. Un set con Servillo è impegnativo, sia chiaro. Ma Toni è un uomo che crea gruppo, credo l'abbia ereditato dal teatro. Una bella esperienza».
La sua poliziotta ricorda molto l'eroina di Fargo.
«Nel suo film Carrisi ha giocato con i suoi miti cinematografici. E visto il successo del film, credo andrà avanti. Quando mi hanno proposto il personaggio, mi hanno detto che il progetto dovrebbe proseguire. Nel film di questa poliziotta non si sa nulla, ma lei ha una storia alle spalle che dovrebbe emergere in un nuovo lavoro».
Tra poco uscirà anche Una vita spericolata di Marco Ponti.
«Sì, interpreto una cattiva, altro gran divertimento. Ne faccio di tutti i colori. A gennaio, su Canale 5, dovrebbe poi uscire una storia su Libero Grassi, dove sono la signora Grassi».
Bello cambiare ruoli così velocemente?
«Bellissimo. Se lo prendi con leggerezza, questo mestiere, in fondo, è un gioco da bambini. Ma se lo vivi al contrario, cade tutto. E rischi di farti male».
Chiara Pavan
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