Ammazzato a fucilate «C'è premeditazione»

Martedì 21 Maggio 2019
L'INCHIESTA
SILEA Giovanni Padovan voleva uccidere. Per questo domenica mattina, quando ha visto Paolo Tamai fuori in giardino, è uscito imbracciando il fucile da caccia e ha fatto fuoco contro il genero, centrandolo in pieno volto. È l'ipotesi investigativa su cui lavora il sostituto procuratore Davide Romanelli, il magistrato che sta coordinando le indagini sull'omicidio di Silea e che al 91enne, da ieri recluso nel carcere di Santa Bona, contesta l'omicidio premeditato aggravato dai motivi futili e abbietti.
LA CONVALIDA
Questa mattina alle 11,30 Padovan, assistito dal difensore d'ufficio - l'avvocato Michele Visentin - comparirà davanti al giudice per le indagini preliminari Angelo Mascolo per l'udienza di convalida dell'arresto. Sarà forse l'occasione per spiegare, oltre quanto già detto ai carabinieri che lo hanno sentito subito dopo l'arresto, perché abbia premuto il grilletto freddando in un modo così orribile il 63enne marito della figlia, con cui era in cattivi rapporti praticamente da sempre. «Mi sono sentito minacciato e ho sparato» ha detto agli inquirenti assumendosi la responsabilità dell'omicidio. Ostentando grande tranquillità: forse, più che la gelida calma dell'assassino, l'atteggiamento di un uomo sotto choc che fatica a rendersi conto di quello che ha fatto.
LA PERIZIA
Ma per la Procura, che ha disposto l'autopsia sul corpo di Tamai, che verrà effettuata già oggi dall'anatomo-patologo Alberto Furlanetto, quello che è successo intorno alle 9,30 in via Nerbon è una storia che si sviluppa lungo un copione diverso. Prima il diverbio nato per delle sciocchezze che accende ancora di più un animo esasperato da decenni di faida con il marito della figlia e padre delle sue nipoti, poi la decisione di fargliela pagare una volta per tutte. E infine il dito sul grilletto del fucile da caccia, che non imbracciava da chissà quanto tempo. Il pallettone che ha centrato Paolo Tamai all'altezza dell'occhio destro per poi penetrare nel cranio non è ancora stato trovato. Un solo colpo che ha messo fine alla vita del 63enne. Il frastuono ha attirato l'attenzione della moglie della vittima che sarebbe uscita correndo fuori di casa per trovarsi di fronte Paolo a terra in un lago di sangue, già morto. La donna è ancora in ospedale, preda di un profondo stato di choc e per questa ragione gli inquirenti non hanno ancora potuto ascoltare la sua versione dei fatti. Da una prima ricostruzione pare comunque che non abbia assistito alla tragedia e sia arrivata in giardino solo in un secondo momento.
LE LITI INFINITE
Giovanni Padovan viveva solo nella casa che confina direttamente con l'abitazione di Tamai. Era vedovo da quasi 20 anni e in tutto questo tempo le litigate con il genero erano quotidiane. «Paolo mi aveva raccontato in diverse occasioni dei problemi con il suocero» racconta Marino Giacomin, che con Tamai era socio della Automazione Trevigiana, una ditta che produce motori elettrici con sede a Fontane di Villorba. «E mi aveva anche riferito che in numerose occasioni per sedare quelle liti erano state chiamate le forze dell'ordine». Nel 2004 Padovan aveva presentato denuncia contro il genero accusandolo di lesioni. Negli anni successivi erano state svariate le visite dei carabinieri della locale stazione di Silea, intervenuti per mettere pace tra i due litiganti, chiamati a volte da uno a volte dall'altro. Dal 2006 non risultano però altre segnalazioni. Ma non per questo il clima era migliorato, semmai i panni sporchi Tamai e Padovan se li sarebbero lavati in casa. «Paolo era stanco e esasperato - ha raccontato il socio - le aggressioni verbali del suocero erano all'ordine del giorno, uno stillicidio continuo: alla mattina quando usciva di casa, alla sera quando rientrava. Per tenere duro ci voleva la pazienza di un santo». Domenica l'epilogo drammatico: prima ci sarebbero state le parole grosse volate da una parte all'altra della recinzione che separa il giardino di Tamai da quello dell'omicida, poi il fucile imbracciato e puntato contro il 63enne da cui esplode il pallettone che non lascia scampo all'imprenditore. Non un delitto d'impeto, secondo l'accusa, non l'imprevedibile quanto drammatico epilogo di una discussione accesa. Padovan voleva uccidere. E ha ucciso.
Denis Barea
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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