Davide Dino Lanzoni sta a Rovigo come William

Sabato 8 Agosto 2015
Davide Dino Lanzoni sta a Rovigo come William Webb Ellis sta al rugby. Secondo la leggenda uno ha inventato il gioco, nel 1823 in Inghilterra, l'altro l'ha portato in città, nel 1935 da Padova. Un'equivalenza che rende il gesto dell'allora studente di medicina rodigino pietra miliare della storia quanto quello dello studente nel college di Rugby.
Quest'anno insieme agli 80 anni dell'arrivo del primo pallone di rugbya Rovigo, il 22 marzo 1935 secondo la ricostruzione più credibile, ricorrono anche i 100 anni della nascita di Lanzoni, avvenuta il 17 settembre 1915 a Lendinara. Città dove il padre Francesco, laureato in chimica e farmacia, originario di Castel Bolognese (Ravenna) e socialista della prima ora che aveva bazzicato Benito Mussolini e Flippo Turati, dirige lo zuccherificio. Davide Dino, morto a 72 anni il 24 marzo 1988 due mesi prima dello scudetto della stella, è il terzo dei sei figli di Francesco e Giuseppina Dall'Oppio. Nel 1922 la famiglia si trasferisce a vivere in viale Trieste a Rovigo, dove il padre lavora come direttore di alcune farmacie e nel 1934 acquista la storica “Tre Colombine”, gestita per tre generazioni fino al 2013. «Dino era l'abbreviazione di Davidino – racconta in una video-intervista all'associazione Mondovale il nipote Francesco (dare il nome delle nonno è tradizione di famiglia), figlio del quarto fratello Alberto Mario (anch'egli rugbista) e ultimo gestore delle “Tre Colombine” - In casa lo chiamavano così vezzeggiarlo e prenderlo un po' in giro, visto che era alto e robusto per l'epoca. Arriverà ad essere 1,77 praticando l'atletica leggera prima del rugby».
Uno sport scoperto all'università di Padova, città contro la quale in seguito nasce il derby più antico e sentito d'Italia, portato a Rovigo sotto forma di prima palla ovale in un assolato venerdì pomeriggio. Probabilmente al ritorno dalle lezioni. La data, il 22 marzo 1935, non compare in nessun documento, perché fare rimbalzare su un prato una pallonne strano, mai visto in precedenza, non è un atto da annunci sul giornale, carta intestata o autenticazione notarile. È un gesto spontaneo, l'allegra scoperta di un gruppo di ragazzi che non può immaginare di aver generato così la passione con la quale Rovigo si identificherà. Diventando “La città in mischia” raccontata da Luciano Ravagnani nel libro omonimo, e in altri testi, dalle cui ricerche scaturisce il 22 marzo.
«Nello scrivere la storia della società – spiega Ravagnani – tre sono state le testimonianze orali di protagonisti diretti di quel giorno: Dino Lanzoni, Ivan Piva e Arrigo Menarello, nonno di Susanna Vecchi, ex presidente del Rovigo oggi consigliere federale. La loro sicurezza sul 22 marzo deriva da un evento sportivo che a Rovigo aveva messo in subbuglio la città: la nazionale di calcio, campione del mondo 1934, era in ritiro qui per allenarsi e partire per Vienna, dove il 24 marzo avrebbe battuto 2-0 l'Austria in una partita di Coppa Europa, doppietta di Silvio Piola».
È l'Italia allenata da Vittorio Pozzo, che per quella sfida convoca campioni come Meazza, Orsi, Ferrari, Monzeglio, Ceresoli, Piola. Il massimo della popolarità sportiva all'epoca insieme a Primo Carnera, Alfredo Binda, Luigi Beccali, Tazio Nuvolari. I calciatori iniziano ad arrivare in città alla spicciolata il mercoledì sera, 20 marzo. Alloggiano all'hotel Corona Ferrea. L'allenamento si tiene all'ippodromo (l'attuale stadio di calcio “Francesco Gabrielli” di viale Tre Martiri, campo anche del rugby prima del "Battaglini"), giovedì alle 14,30, davanti a 6.000 tifosi che riempiono le casse di 21mila lire (biglietti 10 lire tribuna, 5 distinti, 3 popolari). In città c'è la febbre azzurra. L'Unione fascista dei commercianti dispone «che i negozi – esclusi esercizi pubblici e fruttivendoli – non dovranno riaprirsi prima delle 17,30» recita “Il Gazzettino” dell'epoca. Idem gli uffici. Rovigo è tappezzata di foto e annunci dell'evento. I giocatori il giorno dopo, venerdì 22 marzo, sono ricevuti la mattina in municipio dal podestà Urbano Ubertone, che nel suo discorso afferma: «Rovigo aveva diritto a quest'atto di particolare attenzione e affetto, perché proprio a Rovigo, 40 anni or sono, si iniziò il gioco del calcio, sotto l'insegnamento e la direzione del maestro Gabrielli e nel 1896 fu la squadra di Rovigo che sostenne a Roma il primo incontro nazionale di calcio».
Tradizione e identità calcistica cittadina poi scalzata dal rugby che, in un simbolico contrappasso, proprio quel giorno sbarca a Rovigo. Mentre i campioni del mondo nel pomeriggio prendono il treno per Venezia-Vienna, alla stazione arriva da Padova Dino Lanzoni. Chissà se ha incrociato gli azzurri, o li ha mancati di poco. Dino, narra con un registro tra l'epico e l'aneddotico “Una città in mischia”, uscito dalla stazione attraversa furtivamente la Commenda con un pacco sotto braccio. Incontra un gruppo di amici al campo dell'ippodromo, dove il giorno prima si era esibita l'Italia della palla rotonda. Scarta l'involucro, tira fuori la palla ovale e la fa rimbalzare per la prima volta a Rovigo.
«Lo zio Dino – continua Francesco Lanzoni - aveva scoperto il rugby al Guf (Gruppo universitario fascista) di Padova e grazie ad alcuni studenti inglesi. Si fece prestare un pallone e venne a fare conoscere il gioco ai suoi amici. Gente della più varia estrazione sociale. Figli di farmacisti, dottori, ma anche di famiglie più povere, di genitori che facevano altri lavori. Il collante dello sport per loro andava oltre le differenti estrazioni. Il rugby a Rovigo, già da quell'atto di nascita, ha sempre svolto una funzione di integrazione sociale».
Quegli amici, secondo la ricostruzione orale di tre di loro, erano dodici: Checco Battaglini (fratello di Maci), Ivan Piva, Arrigo Menarello, Umberto Cecchetto (fratello di Aldo “Topa” Milani), Martin, Dall'Ara, Davin, Nallio, Golinelli, Siligardi, i due cugini Melega di Mardimago (di questi non si conoscono i nomi). Dodici apostoli e il loro "gesù", senza voler essere blasfemi, impegnati nel primo atto di fede di una passione che a Rovigo diventerà un sorta di religione laica e sportiva.
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