«Allah sa che io sono innocente»

Sabato 15 Febbraio 2020
«Allah sa che io sono innocente»
STANGHELLA
«Sono innocente, tante bugie contro di me, Allah lo sa e se anche dovessi restare in carcere pregherò perché la verità venga fuori». Fra le lacrime ed i singhiozzi che hanno spesso interrotto le sue parole, Mohamed Barbri, il marito di Samira El Attar, accusato del suo omicidio e dell'occultamento del suo cadavere, ha risposto alle domande del sostituto procuratore di Rovigo Francesco D'Abrosca nel lunghissimo interrogatorio, quasi cinque ore, cui ha scelto di sottoporsi. È stata la prima volta che l'uomo ha raccontato la sua verità, dopo che nell'interrogatorio di garanzia, seguendo la strategia difensiva consigliatagli dal suo legale, l'avvocato Daniele Pizzi del foro di Milano, si era avvalso della facoltà di non rispondere.
LE DOMANDE
L'interrogatorio chiesto proprio dal pm, si è tenuto nel suo ufficio, nella Procura di Rovigo. Con le sue domande il sostituto D'Abrosca ha cercato di ottenere spiegazioni su alcune di quelle che, secondo l'accusa, sarebbero le contraddizioni nella versione che Barbri ha fornito agli inquirenti. Incongruenze, falsità e mezze verità tali da concentrare i sospetti su di lui, che non avrebbe raccontato la verità. A cominciare dall'alibi per la mattina del 21 ottobre scorso, quando Samira è scomparsa.
Il marocchino, quanto è stato sentito dai carabinieri il 17 novembre, ha detto che quella mattina, su incarico del suo datore di lavoro, era andato a piedi nel terreno vicino alla sua abitazione per raccogliere del legname e bruciarlo. Ma né il suo datore né il collega l'avevano visto all'opera e nemmeno avevano trovato il falò con le ramaglie da distruggere. Barbri, fra l'altro, avrebbe detto al datore di lavoro: «Mi raccomando, se i carabinieri ti chiedono cos'ho fatto quel giorno, digli che ero a tagliare la legna vicino al capanno dei polli». Davanti al pm ha spiegato che sia il datore di lavoro che il collega non direbbero la verità perché ce l'avrebbero con lui. E non ha trovato conferma nemmeno il fatto che, come da lui sostenuto, quella mattina abbia preso un caffè nel bar Due Archi di Stanghella e di essere stato servito alla titolare orientale. Perché lei quel giorno non lavorava. Per Barbri sarebbe lei a non ricordare bene.
LA DIFESA
Così come sarebbero malignità e falsità quelle riferite da chi ha parlato di lui come di una persona gelosa. Il marocchino ha anche negato di essere stato sull'argine del Gurzone la notte, come risulterebbe dal gps del suo telefono. «La cosa bizzarra - spiega l'avvocato Pizzi - è che il Gps ha rilevato quel movimento in piena notte, ma non ha registrato il suo passaggio a mezzanotte passata nella caserma di Solesino dei carabinieri. Passaggio confermato anche dagli investigatori che hanno raccolto la testimonianza di un carabinieri di turno e del fratello di Samira che era al telefono in quel momento con Mohamed e che l'ha sentito parlare coi militari».
Mercoledì, intanto, il Tribunale del riesame deciderà sulla misura della custodia cautelare in carcere. Sembra possibile che se il vaglio dei tre giudici veneziani dovesse confermare la tenuta dei gravi e concordanti indizi, il pm possa chiudere le indagini e chiedere il rinvio a giudizio di Barbri.
LA FUGA
Mohamed ha spiegato al pm anche il perchè del suo viaggio in Spagna. Lo racconta Pizzi: «Barbri dice di aver incontrato a Padova a metà dicembre una donna marocchina che gli assicurava di aver avuto notizie di sua moglie in Spagna. Gli ha detto che se ne sarebbe andata all'estero facendosi chiamare con un altro nome, Sara». E Samira, in effetti, aveva tanti profili Facebook, uno dei quali proprio con quel nome. Per questo motivo l'avvocato di Barbri chiederà che vengano controllati i dati on line delle applicazioni usate da Samira: «Sappiamo tutto su Mohamed e nulla di lei. Anche se il suo cellulare è sparito si può guardare cosa e con chi si scriveva su Messenger, su Facebook o su Google. Oppure magari verificare i suoi spostamenti su Maps, come fatto con il marito».
Francesco Campi
Marina Lucchin
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