Utero in affitto, l’Italia condannata a risarcire una bimba veneta “fantasma”: la sentenza della Corte europea dei diritti umani

La piccola è apolide: non sono riconosciuti il papà biologico e la mamma intenzionale

Venerdì 1 Settembre 2023 di Angela Pederiva
Utero in affitto, l’Italia condannata a risarcire una bimba veneta “fantasma”: la sentenza della Corte europea dei diritti umani

In agosto ha compiuto 4 anni e ieri le è arrivato il regalo da Strasburgo. Sempre che si possa parlare di dono, quando si tratta del riconoscimento dei diritti umani, ma tant’è: la Corte europea ha stabilito che le autorità italiane non hanno rispettato la vita privata e familiare di una bimba vicentina, nata in Ucraina attraverso la maternità surrogata, impedendo il riconoscimento legale del rapporto di filiazione con il padre biologico. È stata invece esclusa un’analoga violazione rispetto alla relazione con la madre intenzionale, ma intanto lo Stato dovrà risarcire la famiglia con 15.000 euro per i danni morali e altri 9.536 per le spese legali, sostenute nella battaglia per l’identità della bambina che finora è un “fantasma”: apolide, priva dei documenti personali e della tessera sanitaria, impossibilitata a fruire dei servizi pubblici a cominciare dall’istruzione. 

LA TRASCRIZIONE

La storia era cominciata nel 2018. Dopo vent’anni di inutili tentativi di concepire e adottare un figlio, la coppia («eterosessuale», ha precisato la sentenza) di professionisti ha deciso di ricorrere alla gestazione per altri (Gpa), consentita dalla legge ucraina tant’è vero che era stato redatto l’atto di nascita.

L’ufficiale di stato civile del Comune berico di residenza aveva però rigettato la richiesta di trascrizione, in quanto la pratica nota come “utero in affitto” era stata ritenuta «contraria all’ordine pubblico». È la stessa motivazione per cui due mesi fa la Procura di Padova ha proceduto contro 33 famiglie “arcobaleno”. Nella vicenda vicentina, i genitori si erano rivolti ai giudici, per chiedere la trascrizione del certificato o perlomeno del solo nome del papà biologico, se non anche della mamma intenzionale. Ma prima il Tribunale di Vicenza e poi la Corte d’Appello di Venezia avevano respinto i loro ricorsi. Vano anche il cambio di residenza in un’altra località e la relativa domanda a un diverso municipio. 

L’INCERTEZZA

A quel punto era scattata l’azione giudiziaria davanti alla Corte europea dei diritti umani, che ha infine accertato (con la contrarietà di un magistrato sui sette componenti del collegio) la violazione ai danni della bambina nella relazione con il padre, determinando così un precedente interessante pure per gli altri casi veneti. La condanna dello Stato al risarcimento, tuttavia, non implica l’obbligo della trascrizione per il Comune. «La Corte – hanno scritto i giudici – non può fare ipotesi sull’esito di eventuali nuovi procedimenti dinanzi ai tribunali nazionali volti al riconoscimento del rapporto genitori-figli tra la ricorrente e il suo padre biologico. Tuttavia, si deve concludere che nel caso di specie i tribunali nazionali non sono stati in grado di prendere una decisione rapida al fine di tutelare l’interesse della ricorrente ad accertare la sua filiazione biologica e non sembra essere stata presa in considerazione alcuna altra soluzione alternativa. La ricorrente, di quattro anni, è stata mantenuta fin dalla nascita in uno stato di prolungata incertezza riguardo alla sua identità personale». 

LA LEGGE

Intervistato da Repubblica.it, il papà tira un sospiro di sollievo, dopo quattro anni trascorsi a girare costantemente con un faldone delle carte che documentano il suo legame con la figlia, compreso il risultato del test del Dna: «Il 14 settembre avrò l’udienza in tribunale per ottenere il riconoscimento come genitore biologico». Se questa iniziativa sarà accolta, successivamente la mamma intenzionale (nell’utero della gestante ucraina era stato impiantato l’ovulo di una donatrice anonima) cercherà di procedere con l’adozione facilitata. Su questo fronte, l’avvocato Giorgio Muccio indica la necessità di un intervento del Parlamento in occasione dell’approvazione del disegno di legge sul reato di maternità surrogata. Per il patrocinatore della causa occorre infatti «una norma che specifichi il diritto del minore a vedersi riconosciuto il rapporto con il genitore biologico, onde evitare che una situazione del genere abbia a ripetersi», nonché la previsione di «un’ulteriore ipotesi di adozione in casi particolari, rispetto a quelle attualmente vigenti, in quanto i ritardi dei tribunale dei minori dipendono prevalentemente da norme in materia di adozione che non sono applicabili al caso dei nati da Gpa».

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