VENEZIA - Dalla mattina alla sera davanti ai magistrati dell'Antimafia per sostenere la sua innocenza. Un altro interrogatorio fiume per Alberto Filippi, l'imprenditore vicentino, ex senatore leghista, chiamato in causa dalla Direzione distrettuale antimafia di Venezia come presunto mandante di un paio di regolamenti di conti che sarebbero maturati nell'ambiente della 'ndrangheta trapiantata nel vicentino. Tra questi, quello del luglio 2018, a Padova, quando furono sparati dei colpi di pistola contro l'abitazione del giornalista de Il Gazzettino, Ario Gervasutti, "punito" per alcuni articoli sgraditi usciti sul Giornale di Vicenza, negli anni in cui era direttore.
«Ci volessero anche 200 ore di interrogatorio io le voglio fare tutte» aveva dichiarato Filippi, la settimana scorsa, ribadendo la sua totale innocenza, all'indomani del primo faccia a faccia con i sostituti procuratori antimafia Stefano Buccini e Lucia D'Alessandro.
LE CONTESTAZIONI
Titolare di Unichimica, dopo l'espulsione dal Carroccio, l'imprenditore era passato alla Destra di Storace e ora è simpatizzante di Fratelli d'Italia. Ad accusarlo un pentito dell'inchiesta dell'Antimafia sull'attività del clan Giardino in Veneto. Complessivamente 43 gli indagati per estorsioni, detenzione d'armi, rapine, violenze. È stato il crotonese Domenico Mercurio, diventato collaboratore dopo l'arresto nel 2020, a raccontare i due episodi, a suo dire, commissionati dall'ex senatore della Lega.
Gervasutti sarebbe stato preso di mira per degli articoli sull'inquinamento ambientale, usciti sul Giornale di Vicenza, che all'epoca dirigeva. Cinque i colpi sparati contro la sua casa, tre arrivati nella camera del figlio. Operazione che sarebbe stata pagata 25mila euro fatturati da una ditta legata al gruppo criminale e pagati da Filippi.
LA DIFESA
Un «equivoco» per l'ex senatore, che riconduce quella fattura ad una serie di lavori edili realmente eseguiti. Il secondo episodio riguarda una presunta ritorsione ai danni di un'azienda veronese, rivale di quella dell'ex senatore: per ventimila euro, sempre pagati da Filippi, sarebbero stati incendiati un furgone e parte dell'edificio aziendale. Accuse infondate, pure invenzioni, a detta dell'imprenditore.
«Chi mi ha infangato, evidentemente per motivi lontani dal senso di giustizia, non ha alcuna prova se non tante contraddizioni a sostegno di quanto ha, per fini personali a me evidenti, inventato» aveva dichiarato dopo il primo interrogatorio. Un quadro che, a detta dei difensori, non lascerebbe spazio per una richiesta di rinvio a giudizio. Che «ai sensi della più recente normativa, deve basarsi su una ragionevole probabilità di condanna, che con tutta evidenza non c'è» aveva sottolineato Fogliata dopo la prima parte di interrogatorio.
Ieri nuove ore di dichiarazioni messe a verbale. I dettagli ancora non si conoscono. Da capire, soprattutto, se convinceranno l'Antimafia.