Vezzi, maestri di porcellana: a Venezia nel 1720 la prima fabbrica in Italia. La storia mai raccontata

Mercoledì 9 Febbraio 2022 di Alessandro Marzo Magno
Vezzi, maestri di porcellana: a Venezia nel 1720 la prima fabbrica in Italia. La storia mai raccontata

Prendendo spunto dagli antichi bocaleri, nasce a Venezia nel 1720 la prima fabbrica di settore in Italia. Il figlio di un patrizio veneto decide di investire 50 mila ducati per oggetti comuni. Un'esperienza che durò solo sette anni ma che portò a realizzare piccoli capolavori. Di questa manifattura sono sopravvissuti circa 200 pezzi. Una ricercatrice sta ricostruendo tutta la loro storia


IL RACCONTO - La prima fabbrica di porcellana in Italia è stata aperta a Venezia nel 1720, ed era la terza in Europa, dopo la tedesca Meissen (1708) e l'austriaca Vienna (1718). L'aveva fondata Giovanni Vezzi, figlio di un ricco orafo di nome Francesco. Due anni prima i Vezzi avevano avuto accesso al patriziato, una delle case fatte per soldo in occasione della seconda guerra di Morea. L'avventura tuttavia dura poco: solo sette anni; bisognerà poi attenderne altri trentasei perché Geminiano Cozzi apra la seconda manifattura veneziana, nel 1763. Da secoli in Europa si importava la raffinatissima e preziosissima porcellana cinese, tanto sottile da diventare trasparente, un vero e proprio oggetto del desiderio per nobili e ricchi di tutto il continente. Infatti gli europei cercavano di imitarla, utilizzando terra bianca alla quale mescolavano un po' di colore azzurro per ottenere toni simili a quelli orientali, altri imitatori la decoravano in stile cinese, ma rimaneva pur sempre un falso.
LA CONCORRENZA

A Murano si erano persino inventati un vetro bianco, il lattimo (il nome si riferisce al candore del latte) che in qualche modo richiamava il nitore della porcellana cinese.

Il segreto era costituito dal caolino, un minerale che era abbondante nel Celeste Impero (il nome viene da gaoling, che significa collina), ma al tempo era sconosciuto in Europa. La svolta arriva nel 1708 quanto l'alchimista tedesco Johann Friederich Boettger scopre un giacimento di caolino vicino a Dresda e fonda la manifattura di Meissen. In seguito un tecnico si sposta dalla città sassone a Vienna, dove fonda la Manifattura imperiale di porcellane e saranno proprio un sassone e un viennese a essere chiamati da Vezzi a Venezia.


LA RICERCA

Claudia Salmini, già archivista a Venezia e poi direttrice degli archivi di Belluno e Trieste, sta ricostruendole vicende di questa manifattura veneziana. «L'investimento iniziale era alto, 50 mila ducati», spiega, «ma non irragionevole per produrre un bene di lusso che la porcellana viene acquistato dai regnanti e, a scendere, da cortigiani e aristocratici che fanno decorare gli oggetti con il proprio stemma nobiliare. Non è un caso che molte di queste fabbriche di porcellana si fregino, del titolo reale, per esempio Royal Copenhagen, per citare un marchio ancora presente ai nostri giorni». Il mercato dei molto ricchi permette di ipotizzare ottimi guadagni, ma qualcosa nella manifattura Vezzi gira male. La fabbrica sta prima alla Giudecca, e poi al Casino degli spiriti, sul limitare della laguna di fronte a Murano.


L'OFFICINA

Giovanni Vezzi si era anche procurato decoratori molto bravi, in grado di realizzare immagini molto raffinate. Nonostante ciò, qualche socio si sfila e il padre teme che la società assorba tutto il patrimonio di famiglia riducendola sul lastrico. Francesco quindi impone al figlio di chiudere e lo obbliga a distruggere tutte le attrezzature. «Quando cessa la produzione, nel 1727», osserva Salmini, «erano presenti nei magazzini ben 30 mila pezzi ancora non completati. Con ogni probabilità si trattava di biscotto, cioè di pezzi che avevano subito la prima cottura e dovevano ancora essere dipinti, vetrificati e cotti una seconda volta. Non si sa che fine abbiano fatto tutti quegli oggetti, è molto probabile che almeno una parte sia stata utilizzata per indennizzare gli operai licenziati». La fabbrica Vezzi registrava una differenza fondamentale con le altre industrie sostenute direttamente dai sovrani: Venezia era una repubblica e la Vezzi doveva stare sul mercato reggendosi sulle proprie gambe, cosa che altrove non era richiesta. Ci sarebbe stato però ancora un segnale della presenza della manifattura Vezzi in città. Salmini racconta che nell'archivio della Scuola grande di San Rocco sono conservate due polizze firmate da Giovanni Vezzi nelle quali dichiara di aver ricevuto somme di denaro in cambio della fornitura di pietre. Le ricevute sono datate febbraio e marzo 1728, ovvero quando la manifattura era ormai chiusa. È probabile che il nobilomo abbia ceduto alla Scuola grande il minerale che ancora possedeva, «che gli consegno dalla fabbrica di porcellane» è scritto nelle ricevute. In quel periodo erano in corso importanti lavori nella chiesa di San Rocco (anche se non la facciata, che sarebbe stata rifatta qualche decennio più tardi), i documenti parlano del muro lungo la calle e di altri lavori interni. Quindi è del tutto possibile che proprio nel muro che dà sulla calle sia finito il pietrame che ancora si trovava nella fabbrica Vezzi.


LA SIGLA

In giro per l'Europa, intanto si aprivano fabbriche di porcellane che dovevano fornire le corti, l'inglese Wedgwood è del 1759, nello stesso anno la francese Sèvres diventa manifattura reale. Nel 1763, come detto, apre a Venezia, a San Giobbe per la precisione, la fabbrica Cozzi, rimarrà in attività fino al 1812, il suo archivio è stato acquistato dalla Tognana, di Casier, nel trevisano che aveva aperto nel 1775 come fabbrica di laterizi (produce ceramiche e porcellane dal 1946). Le porcellane Vezzi non erano firmate con un marchio (tipo le celeberrime spade incrociate di Meissen), ma con una scritta che poteva leggermente cambiare, spesso consisteva in Ven con una a più piccola in alto a destra, e il richiamo a Venezia era evidente. Purtroppo sono sopravvissute fino ai nostri giorni soltanto poche porcellane Vezzi, si calcola all'incirca duecento pezzi. Un paio di chicchere sono esposte al Met di New York, altri oggetti a Londra, al British e al Victoria & Albert Museum, ma per fortuna ci sono esempi anche di più vicini, a Ca' Rezzonico, a Venezia, per esempio.


LA COLLEZIONE

La Scuola di San Rocco ha acquisito in dono una collezione di porcellane molto importante, che comprende anche oggetti prodotti da Vezzi, oggi in parte visibile nel museo di ca' Mocenigo, a San Stae (ma non sono esposte porcellane Vezzi). Si tratta della collezione di Jacopo Bisacco Palazzi, morto nel 1958. L'uomo aveva anche messo insieme una notevolissima raccolta naturalistica che la vedova ha donato al Museo di Storia naturale, così come quella di porcellane è stata invece ceduta alla Scuola grande di San Rocco. Se la storia delle porcellane veneziane è relativamente recente, quella delle ceramiche è ben più antica. La trecentesca mariegola dei bocaleri è finita alla Biblioteca nazionale di Vienna, mentre la più importante collezione di reperti rivenuti in laguna, quella di Luigi Conton, archeologo, nel 1978 è stata acquistata dallo stato e si trova alla Ca' d'Oro, ma non sempre è possibile vederla. Un settore, questo delle ceramiche veneziane, poco studiato. Qualcuno ipotizza che la produzione avesse raggiunto livelli molto alti e siano stati i veneziani a insegnare le tecniche ceramiche ai faentini, e non il contrario, come generalmente si ritiene.


      
 

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