Il prefetto Zappalorto avverte: «Troppi migranti infetti, potremmo riaprire Cona»

Domenica 19 Luglio 2020 di Davide Tamiello
TENSIONI Il Prefetto di Venezia, Vittorio Zappalorto: «Non possiamo avvertire i sindaci, c’è ostilità verso i migranti»
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VENEZIA - Ci sono decisioni che pesano come macigni. Necessarie ma impopolari a priori, in particolare se legate alla sicurezza pubblica. Se poi il tema dell’emergenza sanitaria si mescola con un’altra questione delicata come quella dell’immigrazione, quei monoliti crescono a dismisura fino a diventare montagne. Vittorio Zappalorto, prefetto di Venezia, ne sa decisamente qualcosa: il focolaio Covid esploso nella struttura di accoglienza della Croce rossa a Jesolo ha aperto un nuovo fronte nella battaglia al virus. Una guerra che potrebbe aver bisogno di nuovi avamposti, ovvero strutture demaniali da trasformare in centri di accoglienza “sanitari”. E non è da escludere, in quest’ottica, che possa riaprire i cancelli l’ex base missilistica di Cona, l’hub al centro di mille polemiche e inchieste giudiziarie chiuso dal governo un anno e mezzo fa. Il tutto tenendo conto anche delle altre difficoltà: la carenza di organico delle forze dell’ordine e il conflitto interno tra istituzioni, perché nessuno dei sindaci dei 44 Comuni del Veneziano (come già successo con Cavarzere) sembra disposto ad accettare di buon grado la presenza di migranti, a maggior ragione se infetti. 

Prefetto, qual è il quadro della situazione? 
«Abbiamo fatto il punto questa mattina (ieri, ndr) in un comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. Abbiamo 85 migranti in una situazione di quarantena fiduciaria e collettiva a Jesolo. Per quanta riguarda i contagiati, invece, 10 sono in una struttura a Cavarzere gestita dalla cooperativa Eleison e una trentina in una casa colonica, isolata nelle campagne, sempre a Cavarzere, gestita dalla Edeco».
Quella Edeco? Quella che gestiva Cona e Bagnoli e protagonista delle inchieste delle procure di Padova e Venezia?
«Sì. È l’unica ad aver fatto un’offerta di posti nell’ultimo bando, non aveva assegnazioni ma quando si è presentata l’emergenza non abbiamo potuto scegliere».
Cosa succederà ora? Come si garantirà l’isolamento dei positivi in questi centri?
«Il problema è che abbiamo tre strutture da sorvegliare. E non con controlli occasionali, dobbiamo mettere dei piantoni a tutte le porte. Per fare questo ci vuole personale, ho calcolato almeno 60 persone. Sia io, sia il questore Maurizio Masciopinto, abbiamo già scritto al dipartimento a Roma per chiedere rinforzi. Speriamo si faccia presto perché Venezia a queste condizioni può reggere solo pochi giorni». 
Anche perché ci sono anche altri fronti sulla sicurezza che vi stanno tenendo particolarmente impegnati.
«Certo. Penso a piazza Mazzini a Jesolo: dopo le risse e gli episodi di violenza siamo costretti a un presidio costante, che proseguirà per tutta l’estate». 
A Cavarzere c’è mancato poco che scoppiasse la rivolta: il sindaco Henri Tommasi si è lamentato perché non sapeva nulla del trasferimento. Non ha proprio pensato di fargli almeno una telefonata?
«Guardi, noi non possiamo avvertire i sindaci, e lo sa perché? Perché sennò ci troveremmo la gente ad attenderci con i forconi. Abbiamo già visto scene del genere in passato. Capisco che non sia un sistema ortodosso, ma c’è un interesse dello Stato a sistemare queste persone e c’è l’interesse contrario di tutti i sindaci, perché nessuno è disposto a fare un passo avanti». 
Un’omissione motivata dalla ragion di Stato quindi?
«Beh, è del tutto evidente come in Veneto ci sia una ostilità palese, a volte anche violenta, verso i migranti. Io continuerà ad agire in questo modo finché il territorio non accetterà la realtà: queste persone sono qui adesso, e volenti o nolenti bisogna gestirle». 
Il contratto con la Croce rossa a Jesolo è scaduto ed è in proroga: quanto potrà durare?
«Siamo in proroga perché la Croce rossa non ha accettato le nuove condizioni del decreto Salvini. A fine anno dovremo rifare la gara, ma immagino sia possibile risolvere il rapporto anche prima».
Vista questa nuova necessità, si riaprirà la base di Cona?
«Non lo so, ma non posso escluderlo. In questa situazione sta emergendo la necessità di una struttura demaniale, e Cona in effetti avrebbe anche già servizi e strutture pronte. Però è anche vero che il contesto è diverso: per noi quella base è comunque scomoda sul piano logistico, distante dagli ospedali e difficile da presidiare. Di sicuro servono delle strutture dove poter tenere i positivi». 
Detta così, sembrerebbero dei Lazzaretti...
«Non li definirei così, ma è fondamentale garantire l’isolamento. Riuscire a trattenere queste persone è difficile: non sanno cosa sia una pandemia, non comprendono le regole. Si sottraggono ai tamponi, chi ha un lavoro esce comunque. E intanto il virus continua a rimanere vivo: sono certo che se facessimo tamponi in massa a Jesolo, oggi, troveremmo centinaia di positivi». 
Sempre a Jesolo, poi, c’è chi chiede insistentemente di chiudere la sede della Croce rossa. È una questione di sicurezza o di interesse?
«So che una cordata di imprenditori vorrebbe quell’area. Può essere che la Cri debba andarsene, ma garantisco a questi signori che se lì sorgeranno dei nuovi alberghi sarà mia cura controllare accuratamente la provenienza dei finanziamenti con cui verranno realizzati». 
Qualche allusione in particolare?
«In Veneto l’economia stenta da 10 anni, mentre a Jesolo assistiamo a una stupefacente crescita di palazzi e milioni di metri cubi. Tutti soldi puliti? Sarebbe interessante saperlo».
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Ultimo aggiornamento: 12:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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