Il tesoro di Maniero, promoter rischia 10 anni per riciclaggio

Venerdì 8 Febbraio 2019 di Maurizio Dianese
Il tesoro di Maniero, promoter rischia 10 anni per riciclaggio
MESTRE - Il pubblico ministero Paola Tonini ha chiesto 10 anni. Il massimo della pena per un reato come il riciclaggio. Gli avvocati difensori Giuseppe Carugno e Marco Rocchi, l’assoluzione. Tra questi due estremi c’è la vita di Michele Brotini, promoter finanziario toscano, il quale ha avuto la sventura di incrociare Felice Maniero. L’ex boss della mafia del Brenta che era a capo della più numerosa, della più feroce e della più ricca banda del Nord Italia, nel corso degli anni ha messo da parte almeno 100 miliardi di lire.
  Una parte li aveva affidati alle cure del cognato, Riccardo Di Cicco, che ha sposato la sorella di Felix, Noretta Maniero. Si tratta, secondo Maniero, della bellezza di 33 miliardi di lire – oltre 15 milioni di euro - che sono in buona parte spariti nel nulla. Vuol dire che Maniero li ha persi e non li rivedrà mai più. Di Cicco dice che una buona parte di responsabilità in questo fallimento ce l’ha Michele Brotini il quale avrebbe perso i soldi del boss con investimenti sbagliati.
Anche Maniero è convinto che sia andata così ed ecco il motivo per cui, dopo la condanna di Di Cicco, il quale si è beccato 4 anni e 10 mesi per riciclaggio, adesso tocca a Brotini pagare pegno in Tribunale. Anche se Brotini da due anni, cioè da quando è stato arrestato, ripete sempre la stessa storia e cioè che è stato preso di mezzo e che lui non c’entra un bel nulla con il riciclaggio dei quattrini di Maniero. Al massimo è “colpevole” di averlo incontrato una volta, su insistenza di Di Cicco, e di avergli fornito consigli per gli investimenti che peraltro non sono stati seguiti visto che i soldi sono finiti nel pozzo di San Patrizio delle speculazioni finanziarie sbagliate.
E ieri gli avvocati difensori lo hanno detto chiaro e tondo: «Riccardo Di Cicco ha rubato i soldi di Maniero ed ha trovato il modo di convincere Maniero che la colpa è di Brotini, il quale è solo il capro espiatorio di una faida familiare». Credibile. E i due legali sono riusciti effettivamente a smontare tecnicamente molti pezzi dell’accusa, dimostrando che Brotini di fatto non ha mai toccato nemmeno un centesimo del boss, ma certo non sono riusciti a sciogliere il nodo dei nodi, che è quello che ruota attorno ad una domanda semplice semplice: perchè Maniero avrebbe coinvolto un Brotini innocente? Che interesse aveva a mettere in mezzo anche Brotini quando si era già vendicato del cognato, facendolo arrestare e condannare, facendogli sequestrare tutti i beni e facendolo interdire dalla professione di dentista? Qui sta il punto. E dunque il problema non è tanto la credibilità di Maniero, sulla quale continua a puntare la Procura dimenticando come già nel 1995 il Tribunale di Venezia avesse più di un dubbio. Tant’è che la collaborazione del boss con la Giustizia venne definita dai magistrati veneziani «estremamente positiva in ordine all’accertamento dei reati commessi dallo stesso e dai suoi sodali, ma del tutto inconsistente in relazione all’individuazione del patrimonio illecito accumulato». Ecco. Non si vede perchè una collaborazione inconsistente improvvisamente possa essere diventata sincera e inappuntabile. Semmai è vero il contrario e cioè che da sempre sul tema dei soldi Maniero non ha mai avuto un minimo di credibilità.
Però questo non toglie di mezzo la domanda: perchè Felice Maniero avrebbe dovuto inventarsi una partecipazione di Brotini all’operazione di riciclaggio? Solo perchè lo diceva il cognato Di Cicco? Ma Felice Maniero non è uno al quale la si può dare a bere facile. E dunque? Dunque, a questa domanda intanto darà una prima risposta la sentenza che il Tribunale di Venezia presieduto da Stefano Manduzio leggerà il prossimo 14 febbraio in aula a Venezia.
Ultimo aggiornamento: 08:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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