Enrico Vandelli, l'avvocato della mala del Brenta: «Non dissi no ai soldi facili»

Lunedì 15 Gennaio 2024 di Maurizio Dianese
Enrico Vandelli con Felice Maniero

MESTRE - «Io non sono riuscito a dire no, d'accordo, ma non solo l'unico. È il Veneto, l'intero Nordest, che non è riuscito a dire no. Ai soldi facili. Ad uno sviluppo senza anima che i nostri figli e i nostri nipoti stanno pagando e pagheranno per sempre. Felice Maniero non era l'unico bandito sulla piazza».
Così Enrico "Riky" Vandelli, 75 anni, avvocato prima di Autonomia Operaia padovana, poi della colonna veneta delle Brigate rosse, infine avvocato della banda del Brenta. A Faccia d'Angelo lui non è riuscito a dire no e Felice Maniero se l'è venduto subito, appena ha iniziato a parlare. Il nome del suo avvocato infatti figura tra i primi 400 che Maniero snocciola alla Procura distrettuale antimafia di Venezia all'indomani del suo arresto, a Torino, alla fine del 1994, mesi dopo la fuga rocambolesca dal carcere di massima sicurezza di Padova che costruirà per sempre il mito del bandito Maniero. E Vandelli pagherà caro il suo rapporto non solo professionale con Maniero perché passerà in carcere 4 anni della sua vita. 
Condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso e per spaccio, radiato dall'Albo degli avvocati, per trent'anni ha tentato di metterci una pietra sopra, ma c'è riuscito solo adesso ammette - con questa docu-serie "Fuorilegge. Veneto a mano armata" in onda su Sky documentaries e Now e che lo vede come protagonista degli anni di piombo rosso prima e di piombo malavitoso, poi, della città patavina. «All'inizio non volevo nemmeno sentir parlare di raccontare la mia storia, poi mi sono lasciato convincere da Sebastiano Facco e da mio figlio Michele. E non mi sono pentito perché mi sono accorto che era un modo per fare i conti con me stesso», racconta Vandelli dal letto d'ospedale.
Da domenica della scorsa settimana è ricoverato infatti a Padova per una brutta polmonite e un infarto. «Ero andato a Londra e probabilmente ho preso freddo. Domenica ho iniziato a sentirmi molto male e i miei figli mi hanno convinto ad andare al Pronto soccorso. Ed eccomi qua».
Con la verve di sempre, bisogna dire. Senza tirarsi indietro e senza farsi sconti. E se ci vuol coraggio sempre ad ammettere di aver sbagliato, ce ne vuole il triplo nel suo caso, per mettersi così a nudo. «Sì, una volta convinto, ho deciso di raccontare tutto e tutto ho raccontato. Perché la mia vicenda fosse la fotografia di un periodo storico importante». E nella docu-serie prodotta dal padovano Alessandro Pittoni di Padova Stories, ideata da Sebastiano Facco e Marta Pasqualini, per la regia di Sebastiano Facco, Riky Vandelli è raccontato anche attraverso gli occhi di suo figlio Michele che ha vissuto il dramma di un padre "famoso in negativo".
Del resto è proprio a partire da Michele che Sebastiano Facco ha l'idea di realizzare la serie tivù. «Volevo proprio raccontare di padre e figlio perché da anni a Padova circolavano solo storie "rosa" su questa vicenda e io invece volevo riportarla in "nero" ovvero raccontare la parabola di questo avvocato che finisce in carcere accusato di far parte della banda di Maniero.

Per me voleva dire fotografare, attraverso il punto di vista di uno sconfitto, di un antieroe, questo territorio. Quanto c'è voluto? Una decina di incontri preparatori con Vandelli perchè all'inizio proprio non voleva sentir ragioni. Era molto diffidente, poi piano piano si sono scardinati alcuni meccanismi che lo bloccavano e per la prima volta ha raccontato, anche a se stesso, secondo me, quello che gli è successo. È servito anche a lui per metabolizzare quella parte della sua vita. Ci sono stati 13 incontri operativi, che ho fatto assieme a Marta Pasqualini. Infine 8 ore di incontri per ogni puntata. Più 15 ore per girare il tutto. Sì, è stato un lavoraccio, ma che offre uno squarcio nuovo e interessante sul Veneto del progresso inarrestabile».


LA RIFLESSIONE
Che poi è quel "progresso scorsoio" di cui parla Andrea Zanzotto. Un progresso che si avvita su se stesso perchè in tanti non sanno dire no - a questo allude Vandelli quando dice che Maniero non è stato l'unico bandito del Nordest - non sanno fermarsi, sono disposti a tutto per i "schei". E quando pensano di avercela fatta, come Vandelli, ecco che dal miracoloso paradiso del Nordest si passa all'inferno chiosa Facco.
Nella serie tv si vedono anche gli "antagonisti" di allora, i militanti di Autonomia Operaia, difesi anche da Vandelli, che verranno falciati dall'inchiesta sul 7 aprile di Pietro Calogero, reduci di una stagione storica con la quale molti di loro non hanno ancora fatto i conti. A differenza di Riky Vandelli che ammette di aver sbagliato e come unica scusante azzarda il fatto che Felice Maniero è sempre stato un incantatore di serpenti.


MANIERO
Che cosa pensa oggi di Felice Maniero? «Che è un pezzo di... sì quella sostanza non troppo nobile e non troppo profumata. Ha detto e gli hanno lasciato dire quello che ha voluto lui. Ne ha raccontate tante di balle. Io? Sì, io credo invece di aver raccontato proprio tutto. Non credo di essermi tenuto dentro assolutamente nulla. Se ho avuto paura? Altrochè. Del resto lui mi aveva fatto sapere che voleva far fuori me e i miei figli per la storia di Ortes. Aveva dato ordine di sparare contro casa mia. Ero terrorizzato».
Giancarlo Ortes faceva parte del commando che aveva aiutato Maniero a fuggire dal Due Palazzi. Ma Ortes è stato anche l'informatore che ha portato la polizia ad arrestare tutti gli evasi, ad uno ad uno. Ad un certo punto a Vandelli arriva una lettera anonima che racconta la collaborazione di Ortes con la polizia. «Io la porto immediatamente in Procura ed è per questo che Maniero voleva ammazzarmi e ammazzare i miei figli, perché non l'avevo avvertito per tempo. Ma io una copia della lettera l'avevo data a Pastore, suo cognato».
E infatti la lettera era arrivata subito nelle mani di Felice Maniero. E così Ortes e la sua compagna Nara Sabic erano stati uccisi. «E anch'io temevo di fare la stessa fine. Per questo non sono scappato subito, quando ho saputo che si era pentito. Avevo troppa paura. Più di lui che del carcere».
 

Ultimo aggiornamento: 14:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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