Gianfranco "Crea" da re del remo a mago delle barche in legno. «Venezia deserta per la pandemia? Ho pianto»

Lunedì 19 Luglio 2021 di Edoardo Pittalis
Gianfranco Vianello, 75 anni
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VENEZIA - Lo chiamano Crea, creta, perché il nonno dal Po di Goro trasportava argilla a Venezia. Gianfranco Vianello per tutti è stato il Crea, anche quando remava e vinceva una dozzina di Regate Storiche; anche quando lo incoronavano re del remo, cosa che nella storia della città è toccata soltanto a tre coppie. Perfino ora che guida un consorzio che fabbrica barche di ogni tipo, il suo continua a essere el cantiere del Crea alla Giudecca. Gianfranco Vianello, 75 anni, è il presidente del Consorzio cantieristica minore veneziana nato 25 anni fa su una vecchia area comunale abbandonata. Si misero insieme 15 artigiani: «Alla fine siamo una delle poche realtà di Venezia in un settore in difficoltà». Ci lavora un centinaio di persone, fabbri e tappezzieri, ebanisti e elettricisti. Soltanto i Crea e i Tagliapietra fanno barche. «Sette nuove all'anno, ogni anno sempre meno, la vetroresina invade la produzione. Quella in legno diminuisce, con la pandemia per un paio d'anni non si costruiranno gondole».
Quella della pandemia era una Venezia insolitamente deserta. «Mi sono venute le lacrime agli occhi quando questo inverno facevano vedere la città completamente deserta, i canali vuoti. Sentivi la città che ti guardava, che gridava. Con la pandemia si sono create categorie di serie A e di serie B, molti commercianti e molti artigiani non apriranno più. La gente viene per trovare Venezia e arriverà un giorno che la Venezia che cerca non ci sarà più. Non c'è stata una trasformazione improvvisa, ma un po' alla volta: è incominciata con l'esodo seguito all'Aqua Granda del 1966, si è svuotata una città che aveva 250 mila abitanti e con le attività artigianali e la piccola industria è sparita una parte della sua storia».
 

Cosa rappresenta la gondola per un costruttore di barche? 
«È l'unica imbarcazione che ci lega al passato, l'unica spinta dal remo.

Per costruirla occorrono specializzazioni diverse: remieri, fabbri, intagliatori in legno, tappezzieri, marangoni e per ultimo arriva il maestro d'ascia. Prima c'erano anche i felzieri che costruivano il felze, una sorta di riparo che alla fine costava più della gondola, fresco d'estate e caldo d'inverno. In passato era il rifugio ideale per incontri clandestini. Oggi una gondola costa sui 35 mila euro, la si fa come si faceva una volta, su misura del gondoliere: devi calcolare il suo peso, come rema, dove lavora, deve calzargli come un guanto. Oggi a Venezia ce ne sono 550 con licenza».

Come è diventato uno dei regatanti più famosi e vincenti nella storia della città?
«Papà veneziano, mamma bellunese. I più grandi maestri d'ascia venivano dal Cadore, erano considerati più di Dio a Venezia. La mia è una famiglia di grande tradizione popolare veneziana: pescatori, gondolieri, regatanti. D'estate in gondola, d'inverno in barena e nei mesi più freddi il nonno cacciava le anatre con lo sciopon che era un burcio sul quale montavano un cannoncino a chiodi. Oggi quella caccia è vietata. Mia madre diceva che avevo il richiamo della foresta per la laguna, volevo sempre andare in barca».

Da chi ha ereditato la passione per la voga?
«Da papà Sergio che diventato gondoliere giovanissimo dopo la Regata Storica del 1938, ai vincitori il Comune dava in premio la licenza per gondola e il posto a Santa Maria del Giglio. È stato allora che ha conosciuto mia madre che era cuoca per la famiglia di una baronessa triestina. Sono nato nel palazzo dove lavorava la mamma, poi mio padre con orgoglio tutto suo disse che era meglio essere padroni di una sessola che servitori di una nave e siamo andati via, alla Giudecca. Noi bambini giocavamo a Campo Marte, il mio compagno di banco alle elementari era Tiziano Bertelli il fratello di Gualtiero, il cantautore. Dopo le elementari, ho frequentato per cinque anni la scuola d'arte dei Salesiani a San Giorgio, dalle sette del mattino alle sette di sera: 500 ragazzi veneziani; tutti i futuri tipografi, sarti, meccanici, ebanisti sono usciti da quell'istituto. Per tre anni ho fatto il gondoliere d'estate e il pescatore d'inverno in una Venezia sicuramente cascante, ma piena di vita, con tanti ragazzi, i negozi sempre aperti. L'Arsenale e i cantieri navali lavoravano, alla Giudecca c'erano fabbriche di ogni genere, dai Molini Stucky alla Junghans. Non è rimasto più niente. In via Garibaldi c'erano osterie aperte anche alle cinque del mattino, giocavi a carte, trovavi arsenalotti, pescatori, artigiani, parlavano del loro lavoro e dei problemi della città, parlavano di Bepi e di Toni. Una mattina entro e trovo i cinesi dentro, non ho niente contro di loro, ma non potevi più parlare di Bepi e di Toni».

Poi la Regata Storica ha cambiato tutto? 
«Dopo la prima Regata Storica vinta nel 1967-1968 ho smesso di fare il gondoliere, non era più il mestiere di mio padre. Di Regate Storiche ne ho vinte 13. Ho vogato con i fratelli Fongher, soprattutto con Palmiro; e con Ciaci e Strigheta che però erano di un'altra generazione. Sono arrivato primo per cinque volte consecutive e secondo la tradizione veneziana sono stato incoronato re del remo con l'alloro. Ci sono riuscito con Palmiro Fongher, il mio compagno storico. Quell'anno si era fatto male, volevo ritirarmi, ma la moglie mi diceva che Palmiro era capace di perdere la gamba per vogare e lui chiamava: Domenica sarò un ballerin in poppa. Soffrendo, soffrendo, siamo arrivati primi al traguardo. I Fongher di Pellestrina erano una dinastia, undici fratelli che davano del voi al padre. Era un piacere vogare con loro, in barca si parlava di tutto, anche di politica, io ero simpatizzante di sinistra, loro erano tutti democristiani. Ma prima di tutto mi so' venexian».

I più grandi avversari affrontati?
«Il più grande è stato Ciaci, Sergio Tagliapietra: quello con più vittorie, ha partecipato a due Olimpiadi, ha vinto titoli italiani nel canottaggio. Però chi è entrato nella leggenda, è Strigheta, Albino dei Rossi, per la sua maniera di vita, per la sua maniera rivoluzionaria di vogare: era furbo, intelligente, unico. Non sei grande solo perché vinci tanto, altrimenti resti schiavo del tuo personaggio. Io mi sono salvato perché non ho fatto solo le regate. Poi ci sono i due fratelli Palmiro e Bepi Fongher».

Si guadagnava a vincere le Regate?
«All'inizio guadagnavi bene, per la prima regata al vincitore andavano 400 mila lire che erano una bella somma. Vivevi un po' di rendita per tutto l'anno, eri ospitato da tutta Venezia, eri trattato come un signore. Negli anni del sindaco Rigo le Regate erano sponsorizzate dal Casinò e c'era qualche soldino in più. Ma non vogavi per i soldi. Questa è la regata più lunga del mondo, dura mezz'ora, quasi 8 chilometri, è faticoso, devi avere forza. È stata alimentata dagli Anni Trenta in poi da tutti quelli che vivevano sul remo. Da Pellestrina e da Burano partivano in barca di notte per andare a vendere il pesce a Rialto: chi arriva prima vendeva. E i gondolieri erano i taxi della città. La regata rispecchiava questo modo di vivere che non c'è più. Oggi come vogavamo noi non lo fanno: allora ti mettevano in barca da bambino e sapevi che quella sarebbe stata la tua vita. Oggi si impara nelle remiere, va bene, l'importante è continuare a vogare».

Il vostro lavoro è cambiato?
«Ieri volevano una barca personalizzata e la barca si faceva una sola volta nella vita. Ora le cambiano come le auto e non rema più nessuno. A Venezia la plastica è proibito lavorarla per l'inquinamento. Chi lavora a Venezia dovrebbe essere obbligato ad avere una barca di legno costruita da cantieri veneziani. Invece, tutti vengono con la barca di plastica costruita altrove e i piccoli cantieri chiudono».

Ultimo aggiornamento: 17:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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