Oncologia, pazienti deceduti lasciati
nelle stesse stanze di quelli ancora vivi

Martedì 22 Novembre 2011 di Giulietta Raccanelli
Il Padiglione Gaggia dell'ospedale di Venezia, sede del reparto di Oncologia
VENEZIA - Lente di ingrandimento sull’ospedale Civile di Venezia, precisamente sul reparto di oncologia, padiglione Gaggia, 27 posti letto sempre occupati e molte criticit di cui si parla poco o niente. Si parla poco, per esempio, del diritto di questi pazienti (spesso costretti a lunghe degenze) di farsi (o farsi fare) una doccia.



Un diritto disatteso, perchè una doccia, in reparto, non c’è. Avapo, l’Associazione di volontari punto di riferimento a Venezia per i malati di tumore, da anni ne ha fatto richiesta, mettendo a disposizione dei fondi per la ristrutturazione. Ma nulla si era mai mosso, fino a tre mesi fa, quando l’Ulss ha finalmente dato il suo nullaosta. Sembrava cosa fatta, anche nel budget necessario, ma questi tre mesi sono passati invano; di lavori, per ora, neanche una traccia. La doccia dunque resta un’utopia e ci si continua ad arrangiare con spugnature e bacinelle.



Si parla anche poco degli odori che dai bagni (uno ogni due stanze) avvolgono le camere del lato destro del padiglione. Per problemi di sicurezza, le finestre su quel lato sono sbarrate e i miasmi non sanno da che parte andarsene. Se almeno, chiedono i pazienti, si potesse applicare una ventola di aerazione sui vetri, si potrebbe respirare un po‘ meglio. Ma anche questo sembra un sogno irrealizzabile.



Parliamo infine dei pazienti oncologici allo stadio terminale della malattia. Pazienti per i quali ormai non è più possibile alcuna cura. Pazienti a cui resta un solo diritto, quello di essere assistiti con cure palliative e di accompagnamento. A Venezia l’unica struttura pensata per loro e per i loro familiari è l’hospice del Fatebenefratelli, con i suoi otto posti letto. E questo è quanto. Quindi se non si riesce a entrare, visto che la lista d’attesa è troppo lunga e non tarata sul tempo che ti resta da vivere, non ci sono che due opzioni: se ti è possibile, tornare a casa con l’assistenza domiciliare, oppure restare in reparto, con la netta sensazione di occupare un posto letto prezioso per chi deve invece iniziare una cura. E si sa quanto il fattore tempo, nei casi oncologici, sia importante.



Così non resta che morire senza ripari, senza silenzio e senza discrezione, perchè il reparto attorno deve ovviamente funzionare. Con i soliti ritmi e le solite consuetudini, a prescindere. Tutto quello che c’è, per proteggersi reciprocamente, è una tenda azzurra che però non copre nemmeno tutto il letto. E l’intrusione è facile e inevitabile: basta la scopa della donna delle pulizie, la luce che viene accesa all’improvviso, l’arrivo del pranzo o della cena per i vicini di letto, che avrebbero il diritto di curarsi pensando più alla vita che alla morte.



A due metri dal reparto, c’è un corridoio con quelle che erano, in altri tempi, le stanze dozzinanti. Solo in parte sono diventate uffici e qui c’è la camera dove riposa il dottore di turno la notte. Ci si chiede: perchè non usare questi spazi per accogliere i terminali? La risposta è secca e fin troppo chiara, ma non può che suonare incomprensibile: perchè formalmente, anche se per pochi metri, siamo fuori dal reparto. Terra di nessuno, dunque, off limits per medici e infermieri.



Ma allora perchè non usare almeno una di queste stanze per trasferire i pazienti appena deceduti, che non hanno più bisogno di assistenza, per farne una stanza del commiato capace di dare discrezione e tranquillità almeno ai familiari, nel grande dolore del momento? Questo sembrerebbe si possa fare. Infatti è tutto pronto, la stanza è stata ripulita, basterebbe sistemarci il letto. Eppure, anche in questo caso, è ancora tutto inspiegabilmente bloccato. Perchè? La risposta per ora non c’è. E così si continua a non capire e a sperare di morire di notte, con la complice discrezione di un’ora in cui i pazienti riposano e gli infermieri, pochi, sono un po’ più liberi. Per disturbare meno e per non bloccare nei tempi tecnici (spesso lunghe ore) le vite degli altri.
Ultimo aggiornamento: 23 Novembre, 21:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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