VENEZIA - La vendetta del padre di un bimbo, gravemente disabile a causa di un drammatico parto, avvenuto con l'utilizzo del forcipe. Sarebbe questo il movente dell'omicidio del professor Giorgio Montanari, primario della Clinica ostetrico-ginecologica del Policlinico universitario di Modena, ucciso la sera dell'8 gennaio 1981 da un assassino mai identificato: ora il nome del sospettato è stato iscritto nel registro degli indagati. È la clamorosa svolta nel "cold case" per cui si batte da 42 anni la vedova Anna Ponti (figlia di quel Giovanni che fu il primo sindaco antifascista di Venezia), maturata grazie al lavoro di ricerca condotto dalla criminologa Antonella Delfino Pesce con la film-maker Elisabetta Di Sopra e il giornalista Pier Luigi Salinaro, il quale rivela al Gazzettino: «Il medico è stato ammazzato per sbaglio, non fu lui a far nascere quel bambino».
LA RELAZIONE
Trapelata sul Resto del Carlino, la notizia della nuova pista si inserisce nell'inchiesta coordinata dalla Procura, che ha affidato gli accertamenti alla Squadra mobile.
GLI ERRORI
Un periodo coinciso con la carriera professionale di Salinaro, storico giudiziarista della Gazzetta di Modena, attualmente in pensione. «Ogni 8 gennaio racconta scrivevo un articolo su questa vicenda: non accettavo l'idea che il delitto restasse impunito, anche per rispetto della signora Anna, che oggi ha 93 anni e aspetta ancora di conoscere la verità. Finalmente siamo riusciti ad ottenere copia degli atti: 1.500 pagine, 10 chili di roba, 18 mesi di studio. Abbiamo riletto tutto, notando un sacco di errori. A cominciare dal fatto che mancava la foto dell'interno del Maggiolino in cui fu freddato il 51enne. Per fortuna l'ho recuperata io, ma non chiedetemi come...». Un'immagine cruciale, secondo il cronista: «Nell'abitacolo c'erano un paio di occhiali, probabilmente del professore, e una scatolina azzurra, contenente dei confetti. Il sospetto è che questo oggetto sia stato scagliato per sfregio dal killer, prima che la vittima chiudesse lo sportello e ingranasse la marcia, al termine di una breve conversazione. In quel momento partì la raffica di spari alle sue spalle. In tutto 7, ma solo l'ultimo proiettile fu mortale, dopo aver compiuto una strana traiettoria, subendo due deviazioni: sfondò il lunotto, trapassò il poggiatesta del sedile, perforò la clavicola sinistra e si conficcò nel cuore. Purtroppo però non fu svolto nessun rilievo dattiloscopico sulla macchina, condotta per comodità nel cortile di una vicina caserma dei carabinieri, i quali non volevano impicciarsi di un caso della polizia. Insomma nel giro di due giorni la vettura finì all'autodemolizione».
I DUBBI
A lungo si parlò di una faida tra colleghi e un ginecologo venne pure inquisito. «Ironia della sorte sorride Salinaro fui anch'io tra quelli che gli ressero l'alibi: al momento dell'assassinio, mi trovavo nel suo ambulatorio con la mia ex moglie, per cui non poteva essere stato lui. Ma ho sempre nutrito seri dubbi sull'ipotesi di una connessione con la pratica dell'aborto. Per sparare 7 colpi di pistola, bisognava essere davvero arrabbiati. Così siamo andati per esclusione e abbiamo individuato come possibile sospettato il padre di un bimbo nato alcuni mesi prima e rimasto da allora su una carrozzina, con gravissime disabilità fisiche e psichiche. Dalla cartella clinica risulta che in sala parto c'era una specializzanda, la quale si è trovata in difficoltà e ha allertato il medico strutturato. L'intervento con il forcipe ha avuto esiti disastrosi. Sappiamo che quel neonato, oggi adulto, è tuttora amorevolmente accudito dai suoi genitori. Personalmente ritengo che l'uomo, ormai più che sessantenne, abbia tenuto per sé il segreto: ha voluto farsi giustizia, colpendo però il dottore sbagliato. Ma ora il compito spetta agli inquirenti: se l'hanno indagato, significa che hanno in mano qualche riscontro oggettivo, magari legato alla pistola».
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