Appassionato ritratto di Ezio Bosso: la musica e la sua fame di vivere

Martedì 7 Settembre 2021 di Elena Filini
Ezio Bosso, il musicista scomparso nel 2020

VENEZIA - «Volevamo raccontare cos'è la fame di vivere». È questo, forse più della musica, l'immenso testamento di Ezio Bosso. Ed è quello che emerge da Le cose che restano, un appassionato documentario musicale a firma Giorgio Verdelli, prodotto da Sudovest Produzioni, Indigo Film con Rai Cinema e presentato ieri in anteprima fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. «Di Ezio mi interessa la presenza, non il ricordo», ha chiarito subito il regista, già autore di Paolo Conte, Via con me che del musicista torinese ha voluto tracciare un ritratto in prima persona. «A montaggio quasi ultimato - racconta ancora - il nipote Tommaso ci ha inviato un brano inedito, Le cose che restano, e abbiamo stravolto tutto.

Non credo esista niente di più affine allo spirito di Bosso dell'improvvisazione, come ricerca continua».


L'INIZIO

Il film traccia anzitutto di Bosso la parabola biografica iniziale, quella che pochi conoscono. Dal Conservatorio, all'attività come contrabbassista, da solista e orchestra. Poi, la grande curiosità per i mondi altri come il rock e il teatro. La voce di Bosso si intreccia ai ricordi di Valter Malosti, Gabriele Salvatores, Silvio Orlando, Enzo De Caro, Angela Baraldi. A fare da sfondo al racconto, i luoghi amati dal musicista. Prima i quartieri popolari di Torino, poi le Langhe, infine Londra e Bologna. «Un grande artista non muore mai. Nel caso di Ezio restano anche le sue parole - aggiunge il regista - per questo ho scelto lui come voce narrante, con dei supporters di eccezione». L'equilibrio di questo documentario si mantiene sul Bosso del dopo, quello della malattia, più conosciuto al grande pubblico per i progetti come direttore d'orchestra e compositore, e sul prima. Emerge con forza il suo valore musicale, anzitutto come virtuoso del contrabbasso. Snodo fondamentale è Sanremo. «È stata una battaglia complicata - ammette Paola Severini, la giornalista e autrice che ha voluto Bosso a Sanremo - c'era scetticismo, fino all'ultimo non abbiamo avuto alcuna certezza. Ma io sapevo che Sanremo avrebbe portato a un cambiamento di paradigma, avrebbe mutato l'approccio alla disabilità. Il giorno del suo debutto a Sanremo abbiamo visto sorgere l'alba insieme. Adesso cambierà la tua vita, gli ho detto. E così è stato. Ma Ezio ha saputo anche cambiare la vita di tutti noi».

Altro rapporto inedito con Pino Daniele, ricostruito dal figlio Alessandro. «Su questo avevo un vantaggio - commenta ancora - avevo girato un documentario su Pino e intervistato Bosso. Avevano un progetto insieme che non si realizzò perché Ezio accettò il lavoro con Salvatores, ma rimasero in contatto sempre». È indubbio che i rapporti umani e artistici più longevi furono con Enzo De Caro e Silvio Orlando. «Tutti mi raccontano la stessa cosa: quando Ezio entrava in scena, gli altri sparivano - aggiunge ancora Verdelli - aveva una tale istintiva capacità di comunicazione che intorno a lui calava l'ombra». Nel documentario emerge anche la commossa, dolcissima fragilità della sorella Ivana. Ma il centro della narrazione resta la musica. «Ho voluto raccontare il musicista, io non faccio gossip - chiude Verdelli -. Non mi sembrava giusto violentare il personaggio indugiando in eccesso sul privato. Ho cercato di interpretare quello che Bosso avrebbe voluto far sapere di sé».
 

Ultimo aggiornamento: 10:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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