Effetto Mose. I segreti della sfida per salvare Venezia

Martedì 13 Luglio 2021 di Elisabetta Spitz*
Effetto Mose. I segreti della sfida per salvare Venezia

Il commissario Elisabetta Spitz racconta sensazioni, suggestioni e speranze sul progetto per la difesa della città dalle acque alte. Rimangono molte questioni aperte, dalla manutenzione degli impianti al tema della gestione.



Una grande opera pubblica somiglia a un monumento.

Ne ha l'imponenza, i costi, la pretesa di durata. Tanto più queste considerazioni valgono per il MOSE, la barriera tecnologica che è chiamata a difendere Venezia dall'acqua alta. La storia del MOSE, come è risaputo, comincia negli anni ottanta del secolo scorso. Esso nasce da un progetto tutto italiano, molto peculiare e molto innovativo, che non può essere paragonato a nessuna delle tante opere di difesa idraulica che sono state realizzate in altre parti del mondo. C'è qualcosa di universale in questa nostra storia. Ma anche qualcosa di molto, molto peculiare. Infatti, tutte le dighe e le strutture di difesa dall'aggressione del mare (e qualche volta, più raramente, dei grandi fiumi) sono state ideate e costruite come grandi barriere orizzontali poste a protezione delle terre sommerse o a rischio di inondazione. Le grandi dighe realizzate in Olanda, o alla foce del Tamigi, funzionano appunto come degli imponenti muri frangiflutti che vengono movimentati come enormi pannelli scorrevoli quando devono consentire il passaggio delle imbarcazioni.

Il MOSE invece è una barriera per così dire verticale, che si erge dal mare solo quando, in condizioni di emergenza, è chiamato a proteggere il territorio lagunare dal rischio dell'acqua alta. Diversa è la concezione, diversa è la tecnologia, diverso l'impatto sull'ambiente.
La complessità di questa opera si basa sul più semplice dei principi, quello di Archimede: «Ogni corpo immerso in un fluido subisce una forza diretta dal basso verso l'alto di intensità equiparabile alla forza-peso del fluido spostato». Avviene così, sulla base di quel principio, che degli imponenti manufatti che hanno la dimensione di palazzi alti fino a dieci piani, posati e incernierati su contenitori infissi nel fondo del mare, si sollevano quando vengono alleggeriti e riempiti di aria. A quel punto le 78 paratoie del MOSE suddivise in 4 barriere emergono d'un tratto dal loro invaso subacqueo e essendo montate una a fianco dell'altra e perfettamente allineate si ergono a difesa della laguna impedendo l'aggressione del mare quando il livello della marea si annuncia particolarmente violento e rischioso.


Se posso introdurre una nota del tutto personale, ci tengo a dire che assistere da vicino all'innalzamento di queste barriere affiancate suscita un'emozione indicibile. (...) Non appena la barriera si erge e si completa si vede come il mare venga fermato e come nel volgere di appena pochi minuti prenda forma il dislivello tra l'acqua che sta fuori e quella che sta dentro la barriera. Nei casi di più alta marea il divario tra il mare e la laguna può arrivare fino a 70, 80 centimetri, chiaramente visibile sui due fronti che si vengono a formare. Da un lato c'è il mare agitato, a volte in tempesta. Dall'altro c'è un mare calmo, piatto, pacifico. Di là c'è la forza della natura. Di qua l'ambizione umana di tenerla per quanto possibile sotto controllo. Questa è l'imponenza (e la suggestione) del MOSE. Poi però c'è la sua fragilità, i rischi nei quali può incorrere, l'erosione del tempo che lo minaccia. Come tutti i corpi immersi nell'acqua salata, anche il MOSE è soggetto alle aggressioni del mare e del salmastro, e l'onestà impone di riconoscere che tutti gli studi sviluppati in questi anni su come prevenire la corrosione delle componenti metalliche delle barriere sott'acqua non hanno prodotto soluzioni che si possano considerare definitive.


Attualmente, la vita utile delle barriere è prevista al massimo in cento anni, a patto di effettuare ogni cinque anni la manutenzione ordinaria e ogni dieci quella straordinaria. (...)
Il momento più delicato per le barriere è forse proprio quello che stiamo attraversando ora, dato che non è ancora stato avviato il primo ciclo di manutenzione provvisoria anche se alcune barriere sono state montate e installate quasi sette anni fa. Insomma, c'è un ritardo da recuperare e di lì in poi un timing da rispettare con assoluta puntualità. Come è noto il cantiere del MOSE dovrebbe concludersi entro la fine del 2021. Per ora, siamo al 95-97% dei lavori, mancano pochissimi dettagli impiantistici, dopo di che l'opera potrà dirsi conclusa e i cantieri (avviati nell'ormai lontano 2003) potranno finalmente essere chiusi. Ma di lì in poi sarà appunto la manutenzione a fare la differenza (...).


Comincerà a quel punto il vero e proprio avviamento del MOSE e con esso il primo ciclo di manutenzione provvisoria. Per affrontare questa fase sono già state realizzate due paratoie in più per ogni barriera e quindi si potrà procedere con la sostituzione di due pezzi per volta tramite un'imbarcazione realizzata appositamente con lo scopo di sollevare e immergere la paratoia e consentirne l'aggancio alla cerniera che la mantiene nella posizione di inerzia sul fondo del mare.


Sostituendo due paratoie per volta e portandole in un cantiere per provvedere alla manutenzione straordinaria si potrà infine completare l'intero ciclo manutentivo delle paratoie nell'arco di dieci-dodici mesi non consecutivi, procedendo al ritmo di due paratoie per barriera ogni mese. Ci vorranno dunque almeno due anni per completare tale opera di manutenzione provvisoria delle paratoie, e solo a quel punto si potrà definire con assoluta certezza la frequenza necessaria per l'esecuzione della loro manutenzione a regime. (...)


Le ricerche in corso potranno contribuire a un miglioramento e a una maggiore efficacia delle modalità di manutenzione programmata delle parti meccaniche e delle componenti elettroniche del MOSE. Ma questo, appunto, è solo un primo passo. Mentre incalza già ora l'esigenza di pensare ai passi successivi. I due aspetti sui quali si dovrà lavorare nei prossimi anni per rendere il MOSE più efficace riguardano da un lato il sistema di alimentazione delle barriere e dall'altro il sistema di previsione delle maree in modo da consentirne un sollevamento più mirato agli eventi meteomarini maggiori.


Attualmente il MOSE, nella stagione invernale 2020, è stato sollevato venti volte con l'obiettivo di proteggere le aree abitate da maree superiori a 130 centimetri. Si dovrà dunque, caso per caso, anticipare oppure ritardare il sollevamento delle singole barriere. Tutto questo potrà contribuire anche a una gestione più efficace dei due porti di cui salvaguardare l'attività (Venezia e Chioggia) consentendo altresì di ridurre al minimo gli effetti che le chiusure producono sull'ecosistema lagunare. In altre parole, la potenza tecnologica del MOSE dovrà essere graduata, amministrata con criterio, utilizzata nella giusta misura e non oltre. L'altro aspetto che richiederà intraprendenza e fantasia innovativa sarà quello dell'approvvigionamento energetico del sistema di sollevamento. Attualmente per spingere aria compressa nelle paratoie e mantenerla in pressione è necessario utilizzare 1 GWh/anno per garantire il funzionamento delle barriere e ben 14 GWh/anno per mantenere in efficienza il complesso di barriere e impianti.


Oggi che le energie rinnovabili cambiano questo panorama si può ragionevolmente ipotizzare di riuscire ad alimentare il funzionamento delle barriere tramite energia prodotta da diverse fonti alternative combinate tra loro. Con un vantaggio sia sul fronte dei costi che su quello dell'inquinamento. In particolare, con il supporto di ENI, si sta già ragionando su come mettere a punto un progetto di alimentazione delle barriere tramite fonti energetiche rinnovabili.
Naturalmente tutte queste prospettive dovranno fare i conti con i mutamenti ambientali che si profilano all'orizzonte. Il territorio compreso tra Trieste, Venezia e Ravenna è indicato dall'ENEA nella mappatura delle coste italiane come un'area a rischio inondazione già a partire dal 2050. Dando retta a questi scenari non così fantascientifici come ci piacerebbe pensare nel 2100 l'intera Pianura Padana potrebbe venire sommersa a causa del progressivo innalzamento del livello del mare Adriatico settentrionale. Intanto, il MOSE protegge la laguna di Venezia fino a un innalzamento del mare di circa 3 metri rispetto al livello attuale. Diciamo che almeno è un buon inizio.

*Commissario per il Mose
      
 

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