Busetto condannata per l'omicidio della vicina, sotto esame la catenina. Garofano: «Minime tracce di Dna ma anche nel caso Yara era la prova regina»

Sabato 6 Aprile 2024 di Davide Tamiello
Busetto condannata per l'omicidio della vicina, catenina sotto esame. Garofano: «Minime tracce di Dna ma anche nel caso Yara era la prova regina»

MESTRE - Dalla strage di Capaci a Donato Bilancia, da Erba a Novi Ligure passando per il delitto di Garlasco. La carriera del generale Luciano Garofano, comandante per quindici anni, dal 1995 al 2009, del Ris di Parma, non ha bisogno di presentazioni.

Biologo specializzato in tossicologia forense, ha basato gran parte delle sue indagini sull'analisi delle corrispondenze genetiche.

Generale, che idea si è fatto dell'utilizzo del test del Dna nel caso dell'omicidio Pamio?

«Per poter analizzare con precisione servirebbe una panoramica precisa di tutti gli elementi della vicenda. Fondamentale, per esempio, sarebbe sapere se la catenina appartenesse effettivamente alla vittima o all'imputata».

Secondo gli inquirenti era della vittima ma non è mai stato dimostrato. La difesa ha sempre sostenuto che quella catenina fosse invece un ricordo di famiglia di Monica Busetto.

«Sarebbe indubbiamente un elemento importante da approfondire. Perché vede, non c'è solo da considerare la quantità di Dna, che in questo caso è sicuramente molto esigua. Ma anche e soprattutto la qualità».

Tre picogrammi sono sufficienti per condannare una persona per omicidio?

«Dipende. Tre picogrammi difficilmente danno un profilo completo, è necessario contestualizzarli per capire se sia veramente attribuibile alla vittima. Ci sono stati però diversi casi in cui l'intero pacchetto investigativo aveva fallito e solo con la corrispondenza del Dna era stato possibile arrivare a una soluzione. Anche nel caso di Yara Gambirasio le quantità di Dna erano minime (pur essendo decisamente superiori a quelle del caso Pamio) però hanno costituito la prova regina in un determinato contesto di ulteriori elementi. Il Dna, inoltre, è servito anche a riaprire delle inchieste del passato. L'Innocent Project degli Stati Uniti, per esempio, il "progetto innocenza" che si occupa di scagionare quegli imputati ingiustamente accusati e condannati all'ergastolo o alla pena di morte quando il test del Dna non c'era: il 50 per cento di questi casi è stato risolto in favore degli imputati grazie alla corrispondenza genetica».

Che cosa può determinare la qualità del Dna prelevato?

«Se dovessi porre delle domande, nello specifico, chiederei: c'è la possibilità che imputata e vittima si siano incontrate prima del delitto? Si frequentavano abitualmente? Monica Busetto era già entrata in qualche occasione nella casa della signora Pamio? Sono elementi che vanno valutato perché altrimenti tutto può essere giustificato come contaminazione».

A questo proposito: sono frequenti i casi di contaminazione?

«È un problema con cui ci confrontiamo quotidianamente. L'analisi genetica è progredita moltissimo negli anni: questo ha permesso che tracce infinitesimali potessero avere una loro rilevanza all'interno di un quadro investigativo. Però resta il fatto che, anche involontariamente, ci possano essere degli episodi di contaminazione nel momento del trasferimento primario o secondario dei reperti. Contaminazione che, ripeto, potrebbe essere anche avvenuta a monte del delitto: per questo dico che si dovrebbero conoscere le frequentazioni precedenti tra le parti coinvolte. Bisogna, però, essere molto cauti nel valutare un'ipotesi di contaminazione, come bisogna esserlo altrettanto (in determinati casi) nel peso da dare a una certa corrispondenza genetica».

Come si potrebbe appurare un'eventuale contaminazione?

«In laboratorio ci sono delle procedure specifiche, affinate nel tempo, proprio per evitare che questo accada. La difesa di Monica Busetto se vuole escludere la possibilità che quel Dna sia frutto appunto di un errore deve ricostruire nel dettaglio le fasi dell'analisi per capire come e in che modo quel reperto possa essere stato contaminato».

Ci può fare un esempio?

«Mettiamo che sia avvenuto un delitto e si sia in possesso di una traccia e di un campione salivare di un sospettato. Protocollo vuole che si analizzi prima la traccia e poi il campione, a parti invertite il rischio di contaminazione sarebbe elevato. Vanno approfonditi, dunque, due passaggi: la correttezza del prelievo e la catena di custodia».

Ultimo aggiornamento: 12:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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