Bragadin, eroe-martire di Famagosta Resistette ai turchi e "incendiò" Lepanto

Lunedì 20 Agosto 2018
Marcantonio Bragadin ritratto da Matteo Bergamelli
Marcantonio Bragadin (1523-1571) nobile veneziano, rettore della città di Famagosta

La resistenza tenace che mise in atto a Famagosta permise alla Lega Santa di organizzare la flotta che più tardi sconfisse l'armata ottomana a Lepanto, visto che i turchi rimasero impegnati a lungo e con una profusione inaspettata di forze da parte del loro esercito nell'assedio della città cipriota. Anche il drammatico supplizio a cui fu sottoposto, lo scorticamento, galvanizzò i marinai veneziani a Lepanto, che sferrando l'attacco decisivo si incoraggiarono tra loro al grido di “ricordeve Famagosta!”.

Un destino di gloria sofferta e di memoria fra i martiri della Serenissima, quello che alla fine spettò a Marcantonio Bragadin, che avrebbe potuto – in una vita diversa – essere un buon avvocato della Repubblica. Nato il 21 aprile 1523 da Marco Bragadin e Adriana Bembo, dopo una esperienza come legale preferì dedicarsi alla carriera militare, e navigò a lungo nelle galee veneziane. Tornato a Venezia assunse diversi incarichi nelle Magistrature cittadine fino al 1560, quando fu designato come governatore di galea. Nel 1569 fu nominato rettore della città-fortilizio di Famagosta.

Non fu una scelta casuale: Bragadin fu reputato l'uomo adatto a sostenere lo scontro con le forze ottomane, nell'aria da tempo. Il veneziano non perse un solo minuto: fece realizzare una serie di opere difensive (fra cui il bastione Martinengo, in grado di proteggere la città da entrambi i lati) per fortificare ulteriormente il porto, in modo che resistesse ai colpi di cannone. Il primo luglio 1570 i turchi tentarono un primo sbarco – respinto – a Limassol, ma due settimane più tardi quasi centomila uomini con duecento cannoni al comando di Lala Kara Mustafa Pascià erano già alle porte di Nicosia, che cadde in un paio di mesi.

La testa di Niccolò Dandolo, luogotenente della città, fu fatta recapitare a Bragadin con l'intimazione ad arrendersi. A settembre la battaglia di Famagosta ebbe inizio. Ne nacque in realtà un lunghissimo assedio destinato a durare quasi un anno, nel corso del quale le mura furono bersagliate dalle cannonate nemiche senza tregua, e nessun aiuto – forse deliberatamente, in vista dello scontro finale che già si prospettava – arrivò da Venezia. A far fronte ai duecentomila ottomani, forti di 1.500 cannoni e di 150 navi a bloccare l'afflusso di rifornimenti, i seimila uomini della guarnigione veneziana. Quest'ultimo rese l'assedio un vero incubo per gli assaltatori: minò ogni tentativo turco di scavare gallerie per penetrare all'interno e studiò i “gatoli”, trincee tortuose dalle quali i guastatori veneziani e greci potevano sortire e rientrare rapidamente; mise a segno alcuni temerari attacchi a sorpresa, riuscendo anche a sottrarre ai turchi il gonfalone di Nicosia, che gli ottomani sventolavano di fronte a Famagosta; fece avvelenare i pozzi esterni e fece credere di aver fatto evacuare la città, spingendo il nemico ad avvicinarsi senza precauzioni e infliggendogli perdite ingentissime.

Ma il destino di Famagosta era segnato. Nel luglio del 1571 l'esercito ottomano riuscì ad aprire una breccia nelle mura: la resistenza fu strenua, ma il primo agosto – senza più viveri e munizioni – Bragadin fu costretto a decretare la resa. Lala Mustafa Pascià non osservò le condizioni pattuite (con civili e militari liberi di ritirarsi a Candia), ma fece impiccare Baglioni, Tiepolo e gli altri capitani italiani Gianantonio Querini e Alvise Martinengo (quest’ultimo impiccato tre volte per prolungarne l’agonia) e il capitano greco-cipriota Manoli Spilioti, esponendo poi le loro teste infisse su picche.

La fine di Bragadin fu agghiacciante: con orecchi e naso mozzati fu rinchiuso in una gabbia sotto il sole per dodici giorni.
Il 17 agosto, il veneziano fu costretto a percorrere due volte il perimetro della città con una gerla piena di sassi sulle spalle piagate, fu appeso a un’antenna nel porto e frustato, fu legato a una colonna e intimato ad abbracciare l’Islam. Al suo rifiuto, il boia iniziò a scorticarlo vivo, partendo dalla nuca e dalla schiena, lentamente e con metodo. La morte lo colse solo quando il coltello del carnefice fu giunto all’ombelico. Ciò che resta di lui, trafugato successivamente dall'arsenale di Costantinopoli, riposa nella chiesa di San Giovanni e Paolo.
Ultimo aggiornamento: 16:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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