Lorenzo Da Ponte: poeta, librettista, impresario teatrale, avventuriero

Lunedì 29 Marzo 2021 di Alberto Toso Fei
Lorenzo da Ponte nell'illustrazione di Matteo Bergamelli

VENEZIA - Lorenzo Da Ponte fu pienamente uomo del suo tempo, il Settecento: viaggiatore cosmopolita, poeta, prete spretato e librettista di Mozart, impresario teatrale, avventuriero capace di cambiare orizzonti e prospettive in un batter di ciglia e primo professore di lingua italiana a New York, nel primo Ottocento, città dove morì. E sebbene ebbe sempre un rapporto con Venezia per tutta la vita, in laguna Da Ponte visse poco, e in ogni caso non vi era nato. Aveva visto la luce a Ceneda, una delle due anime dell'attuale Vittorio Veneto, il 10 marzo 1749, primo dei tre figli di Geremia Conegliano e Rachele Pincherle (secondo altre fonti Anna Cabiglio), ebrei. Il padre era un conciatore di pelli discendente da un Israel da Conegliano, che era venuto a Ceneda nel 1597. Per tutta la prima parte della sua vita, Lorenzo Da Ponte si chiamò infatti Emanuele Conegliano.

Quando aveva 14 anni ma già una buona formazione (ottenuta sostanzialmente da autodidatta grazie alla sua vivacità d'ingegno) avvenne la prima svolta importante: il padre – vedovo da tempo – convertì tutta la famiglia al cattolicesimo pur di sposare la cristiana Orsola Pasqua Paietta.

Il 29 agosto 1763 Emmanuele prese così il nome e il cognome del nobile veneziano – allora vescovo di Ceneda – che lo tenne a battesimo: Lorenzo Da Ponte. Entrò in seminario prima a Ceneda e poi a Portogruaro e studiò fino a diventare insegnante di retorica e poi vicedirettore. Affascinato da Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso, iniziò a comporre i suoi primi versi e, dopo la sua ordinazione sacerdotale, avvenuta nel marzo del 1773, si trasferì a Venezia.

Nella capitale della Serenissima – che allora non brillava per austerità di costumi – Da Ponte scoprì la sua vera natura, che non era certo quella religiosa: pur essendo prete nella chiesa di San Luca, condusse una vita spregiudicata e viziosa e si unì a una donna sposata dalla quale ebbe due figli. Il 28 maggio 1779 fu accusato dal marito di lei con queste parole: “tal indegno… seduse una moglie, che seco lui fa convivere lontana dai sacramenti, procreando con lei parti nefandi e inlegitimi”. Sottoposto a processo (dove fra l'altro venne anche accusato di aver vissuto in un bordello, e di lanciare sguardi lascivi sulle fedeli mentre officiava la messa) nel dicembre successivo fu bandito per quindici anni.

Non si perse d'animo, e iniziò a vivere e viaggiare nei territori dell'impero austriaco: Gorizia, Dresda, Vienna; attraverso l'aiuto del librettista Caterino Mazzolà e poi del compositore Antonio Salieri divenne divenne poeta di corte dell'imperatore Giuseppe II, in un momento in cui la lingua italiana era d'obbligo nell'opera: scrisse per vari musicisti libretti di successo, ma tre gli diedero l'immortalità, tutti scritti per Wolfgang Amadeus Mozart tra il 1786 e il 1790: “Le nozze di Figaro”, “Don Giovanni” (steso con la probabile collaborazione di Giacomo Casanova, conosciuto a Venezia anni prima) e Così fan tutte”.

Nel 1791 alla morte dell'imperatore dovette partire da Vienna. Visse a Praga (dove frequentò nuovamente Casanova, col quale ebbe continui scambi epistolari) e poi a Dresda, prima di trasferirsi a Londra per un'altra sua nuova vita – tra 1792 e il 1805 – durante la quale lavorò per una compagnia operistica italiana e poi fece per un decennio l'impresario del King's Theatre, sposandosi nel frattempo con Anna Celestina Ernestina Grahl, di vent'anni più giovane di lui. Tornò anche a Venezia dopo la caduta della Serenissima, giusto in tempo per farsi espellere anche dalle autorità austriache. Fallita l'esperienza londinese, e inseguito dai debitori, si unì alla moglie e ai quattro figli (destinati a diventare cinque) a “Nuova Jorca”, dove lei aveva raggiunto dei parenti.

A 56 anni, si inventò una nuova vita ancora: droghiere, affarista, e infine libraio e insegnante di lingua e letteratura italiana. Nel 1825 divenne il primo professore di letteratura italiana nella storia del Columbia College (oggi Columbia University) e il secondo italiano in assoluto a rivestire tale ruolo negli Stati Uniti. Tre anni più tardi, settantanovenne, prese la cittadinanza americana. Tentò anche la via del teatro, che si rivelò una volta di più fallimentare. Nel 1831, dopo la morte della moglie, ebbe uno scambio epistolare con il patriarca di Venezia Iacopo Monico, per riconciliarsi con la Chiesa cattolica. Ci riuscì perché dopo la sua morte, avvenuta il 17 agosto 1838, Lorenzo Da Ponte – l'uomo dalle tante vite – ebbe un gran funerale e fu sepolto nel cimitero cattolico di Manhattan. La sua tomba oggi è perduta.

illustrazione di Matteo Bergamelli

Ultimo aggiornamento: 15:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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