Bartolomeo Bon, "griffe" della scultura veneziana del '400

Lunedì 17 Aprile 2023 di Alberto Toso Fei
Bartolomeo Bon ritratto da Matteo Bergamelli

Di lui non conosciamo con precisione la data di nascita e quella della morte; non abbiamo cognizione neppure delle fattezze del suo volto. Quello che conta, in fondo, è ciò che ci hanno lasciato le sue mani. Perché in pieno Quattrocento, a Venezia, il nome più importante che si possa fare quando si parla di scultura (legata come spesso avveniva all'epoca all'architettura o all'abbellimento di elementi funzionali, come le vere da pozzo) è quello di Bartolomeo Bon, che col padre diede vita in città a una straordinaria stagione di tridimensionalità della pietra.

Bartolomeo Bono (o Buon, ma ancora più conosciuto come Bon, detto poi "il Vecchio" per distinguerlo da un Bartolomeo Bon "il Giovane") nacque a Venezia in un periodo imprecisato compreso tra il 1505 e il 1410. Figlio di Giovanni Bon, del quale fu allievo e collaboratore, lavorò col genitore a diversi monumenti della città prima di intraprendere una sua attività autonoma. Nelle sue opere si nota in genere una affinità con la contemporanea scuola scultorea toscana, che Bon assimilò attraverso la vicinanza di maestri attivi a Venezia. Sebbene in passato la critica gli abbia attribuito più opere di quante ne abbia effettivamente realizzate (complice la collaborazione col padre in diverse commesse ma anche appunto la presenta contemporanea di diversi artisti con lo stesso nome, come Bartolomeo Bergamasco).


Oggi l'attribuzione certa di alcune opere fondamentali ne rende più riconoscibile il tratto: come l'incredibile Porta della Carta di Palazzo Ducale, che sull'architrave ne riporta la firma (OP. BARTOLOMEI, divertitevi a cercarla); certamente sua è la statua del doge Francesco Foscari, che campeggia sul portale e il cui volto - di grande realismo - si salvò miracolosamente dalla distruzione del 1797, permettendo di riprodurne le fattezze esatte. Oppure la bellissima vera da pozzo in marmo rosso di Verona della Ca' d'Oro, realizzata nel 1427 (Bon collaborò col padre Giovanni all'edificazione del Palazzo stesso), venduta sul mercato antiquario a metà dell'Ottocento e recuperata dal barone Giorgio Franchetti attraverso una vera caccia al tesoro costata anni di ricerche e ingenti spese economiche. Tra le altre - non molte - opere certamente attribuite a Bartolomeo Bon vi sono il paliotto dell'altare dei Mascoli a San Marco (del 1430, ancora realizzato assieme al padre), la lunetta della Scuola vecchia della Misericordia (della quale era membro, conservata attualmente al Victoria and Albert Museum di Londra), la statua della Madonna per la loggia di Udine e la cosiddetta "targa Dandolo", sempre nella città friulana, e - più recentemente, rispetto all'attribuzione - i portali delle chiese dei Santi Giovanni e Paolo e della Madonna dell'Orto, eseguiti tra il 1458 e il 1460.

Fra il 1443 e il 1449 lavorò per la Scuola grande della Carità al completamento delle absidi e del coro; nello stesso periodo costruì la tomba del procuratore Bartolomeo Morosini nella chiesa di San Gregorio, oggi purtroppo andata perduta. Una presenza così qualitativamente alta ma così ridotta nella quantità lascia però supporre che l'attività prevalente di Bartolomeo Bon sia stata - prima ancora che quella dello scultore - quella del costruttore-imprenditore. Secondo alcune fonti (più ipotetiche che suffragate da documentazione) sarebbe intervenuto anche alla costruzione della porta dell'Arsenale, considerato il primo monumento veneziano rinascimentale. Con certezza assunse invece su di sé - nel 1457 - il progetto e le fondamenta dell'enorme palazzo sul Canal Grande che Marco Corner cedette in fase di costruzione a Francesco Sforza, duca di Milano. Lo Sforza continuò la costruzione del palazzo, affidandola al fiorentino Antonio Averlino, ma ben presto i rapporti tra le due potenze si deteriorarono, al punto che la Dominante confiscò i beni veneziani dello Sforza. Il palazzo (conosciuto come Ca' del Duca) non fu mai terminato e sul fiero bugnato delle fondamenta fu innalzato un edificio più modesto, che fu abitato dallo stesso Bon, e successivamente da Tiziano Vecellio. L'8 agosto 1464 Bartolomeo Bon dettò il suo testamento, e il 28 aprile 1467 la moglie Maria risulta vedova; morì quindi fra queste due date.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci