L'ultima sfida dell'astrofisico Fabrizio Tamburini: Rotonium, un computer per i calcoli impossibili

Lunedì 25 Marzo 2024 di Edoardo Pittalis
L'ultima sfida dell'astrofisico Fabrizio Tamburini: Rotonium, un computer per i calcoli impossibili

VENEZIA - L'uomo è sorprendente, ama il telescopio, le auto veloci e il violino. Con un prototipo si è schiantato contro un muro e al risveglio è corso a prendersi la laurea con lode. Col violino per ora ha un unico ascoltatore fedele, Cici il gatto. Sa di fisica quantistica tanto che potrebbe perfino essere un prossimo Premio Nobel. Spiegava il cielo ad Ayrton Senna e parlava di buchi neri con Margherita Hack che poi gli telefonava di notte e chiedeva di passargli direttamente il gatto. Da ragazzino saliva nello studio di Emilio Vedova e lo riempiva di domande sullo spazio: «Gli ho rotto le scatole in maniera seriale, ma mi piaceva vederlo dipingere». Adesso sta mettendo a punto un computer, "Rotonium", che utilizza le leggi della fisica quantistica per fare calcoli ritenuti impossibili e per confrontarsi con lui vengono da tutto il mondo. «La quantistica spiega il mondo subatomico, l'infinitesimale». Parla cinque lingue, conosce anche il cinese, quando può si esprime in latino. Una carriera di docente tra Padova e Karlsruhe in Germania. Fabrizio Tamburini, 61 anni, è un veneziano nato in Calle della Regina.

Si è attaccato a un piccolo telescopio prima ancora di imparare a leggere e scrivere.


Come vedeva le stelle un bambino a Venezia?
«Fin da piccolo ero fissato con l'astronomia, a quattro anni già volevo il telescopio, quando me l'hanno regalato non lo mollavo più. Ho imparato a leggere e scrivere prima di andare a scuola, a "Non è mai troppo tardi" col maestro Manzi in tv. A Fiera di Primiero una volta chiesi a papà di prendermi sulle spalle per vedere le stelle più da vicino. Mio padre Sergio era orafo e prima di incastonare le pietre preziose le deponeva su un vassoio nero e mi sembravano le stelle nel cielo di notte. La passione è cresciuta con lo sbarco sulla Luna: sono uscito a guardare il cielo e pensavo che lassù erano arrivati gli uomini. Abitavo sopra la scuola di Grafica, da piccolo ho conosciuto Mirò, l'ho aspettato con una sua litografia sulla quale mi ha fatto una dedica speciale. Come pure Keith Haring che era alla Scuola, poi è entrato a vedere il mio telescopio e mi ha disegnato alla sua maniera. Al liceo scientifico preferivo le materie scientifiche e facevo spesso manca per andare a suonare l'organo in varie chiese. Una volta mi ha beccato l'insegnante: entrò in chiesa e domandò chi eseguisse i Duetti di Bach. Quella mattina avevo saltato il tema, seguì la lettera del preside. Mio padre voleva che facessi il suo lavoro, oggi lo fa mia sorella Valentina».


Per l'università però nessun dubbio?
«La facoltà di Fisica a Padova era quella fatta per me. Ma era un periodo in cui amavo le auto da corsa, sono entrato in una scuderia legata all'Alfa Romeo. Avevo una 155, in prova si arrivava anche a 300 all'ora, ho guidato pure una monoposto. Fino a quando a Misano sono finito contro un muro a 180, me la sono cavata e ho messo la testa a posto laureandomi con la lode. Ho due auto d'epoca, un'Alfetta Gtv e una Ferrari 208 turbo, ogni tanto ci si ritrova tra vecchi amici e si fa qualche giro. Dopo la laurea ho incontrato Dennis Sciama, uno dei grandi della cosmologia, che insegnava a Oxford e Trieste, sono entrato nel suo gruppo e ho fatto il dottorato in Inghilterra. Sono tornato perché i miei genitori stavano malissimo, hanno passato due anni a testa in oncologia prima di morire. Colpa dell'amianto che c'era nel laboratorio, anche la tavola dove ogni giorno fondevano l'oro era di amianto. Prima si è ammalata mamma Rita, subito dopo lui, sono morti che non avevano ancora sessant'anni».


La passione per le auto da corsa ha portato l'amicizia con Ayrton Senna?
«Ci univano la passione per i motori e per il cielo. Ho un paio di scarpe sue e un casco da kart che mi ha regalato. Era una persona riflessiva con la quale parlavo sempre volentieri, in portoghese. Voleva sapere tutto sul cosmo, le stelle, lo spazio. Guardarlo guidare era come sentir suonare Paganini. Devo ad Ayrton anche la conoscenza della mia compagna Nicoletta. Ci siamo incontrati grazie a una maglietta di Senna della rivista Autosprint».


E l'amicizia con Margherita Hack?
«Margherita si era interessata a questi vortici di luce. Andavamo a casa sua col povero professor Bianchini, mio docente di astronomia e suo ex collega, per fare lezione di quantistica alla grande signora che aveva 90 anni ma uno spirito e una voglia di apprendere spaventosi. Dava da mangiare ai suoi molti gatti su freesby che lanciava con precisione. Era amante degli scherzi, da toscana sembrava uscita da "Amici miei", al professor Bianchini ne faceva di tutti i colori. La notte Margherita mi telefonava: "Sto bene, non mi interessi tu, passami Cici" e la sentivo ridere mentre parlava col gatto».


Ha molti amici nella sua materia?
«Con Stephen Hawking avevamo avuto lo stesso advisor, Sciama, e abbiamo lavorato su cose simili: la memoria dei buchi neri. Quando ci siamo rincontrati a Padova, si è fatto mettere la sua mano sulla mia: "Ricordiamoci del vecchio Dennis", il nostro professore. Aveva un apparato ottico per parlare. Combattivo, voleva imparare fino all'ultimo istante. Con Anton Zeilinger premio Nobel per la Fisica nel 2022 siamo vecchi amici, ci siamo visti anche da poco a Firenze per parlare di teletrasporto quantistico. Con altri ci troviamo a Venezia per la Biennale e finiamo a fare il giro dei bacari. Ero amico dell'americano Roy Glauber, quello degli studi sull'ottica quantistica, e anche con Steven Weimberg famoso per aver scritto un libro di divulgazione "I primi tre minuti", i primi istanti dell'universo».


Ha mai pensato al Nobel?
«Nel 2018 mi arriva dalla Svezia l'invito a tenere la lectio magistralis a Uppsala col supporto dell'Istituto del Nobel per la Fisica, così sono andato e ho presentato le mie ricerche ai membri della Commissione per il Premio Nobel. Tre giorni dopo dalla Germania mi telefonano per propormi una cattedra per far conoscere la scienza mediante l'arte e ci sono rimasto cinque anni. Con la tecnica dei vortici siamo riusciti a misurare la rotazione del Buco Nero M87, quello famoso. Più di un terzo di quelli che hanno fatto la lectio magistralis davanti alla commissione del Nobel poi hanno avuto il premio. La loro medaglia è un segno a vita».


E adesso cosa fa?
«Negli ultimi anni con un finanziamento assieme a Roberto Siagri abbiamo creato una start up e fondato "Rotonium", un computer che utilizza le leggi della fisica quantistica per fare calcoli ritenuti al momento impossibili. Il tutto a Venezia che è sempre stata una città magica. A San Marco nel 2011 ho fatto gli esperimenti per la prima trasmissione con i vortici elettromagnetici e l'esperimento è diventato una delle basi delle telecomunicazioni che si stanno applicando. L'idea del computer quantistico mi è venuta a San Giorgio mentre seguivo il corso di interpretazione della musica di Vivaldi. C'è un concerto particolare, il "Proteo", il mondo al contrario: il violino e il violoncello si scambiano le parti. Ora sono qui col computer quantistico: ho disegnato un circuito ottico che usa i fotoni, particelle di luce, per trasportare più informazioni. Il chip è stato costruito a Singapore ed è in fase di test a Pisa. L'idea è di fare un coprocessore quantistico per tutti i computer».


Ma c'è qualcosa che la rilassa?
«Suonare il violino, o meglio massacrare questo violino. Il mio maestro è stato Zanchetta primo violino dei Solisti Veneti e della Fenice. Ho uno strumento francese di metà Ottocento e un Klotz di metà Settecento, come quello che usava Mozart. Ho sentito Uto Ughi, lui è spaziale. Dedico al violino un'ora al giorno, ma adesso il mio gatto Cici non scappa più».

Ultimo aggiornamento: 26 Marzo, 10:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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