Carla Plessi: «Io e Fabrizio, è stato amore a prima vista. L'ho scelto e l'avevo sognato»

Domenica 12 Settembre 2021 di Alda Vanzan
Carla Plessi con il marito Fabrizio e i due figli

Il 21 settembre saranno 30 anni di matrimonio. «Cosa faremo? Non lo so, abbiamo pendente un giro del mondo o anche ripetere il viaggio di nozze in Bretagna, in Normandia. L'anniversario è sempre stato una cosa molto intima tra me e Fabrizio». Carla Plessi apre la porta di casa a Venezia, un palazzo storico dove l'acqua risuona dentro e fuori, nel rio che costeggia l'edificio e nell'installazione del marito appesa alla parete, accanto ai pregiati stucchi e affreschi, un armonico contrasto di secoli, tecnologia, arte. «Il tempo? È tutto e niente», dice. E solo lei sa quanto ha lottato per combattere i pregiudizi sulla differenza di età: «Quando ci siamo conosciuti, Fabrizio aveva più del doppio dei miei anni».
Carla Plessi nasce Carla Ventura il 16 dicembre 1963. È studentessa universitaria a Venezia alla facoltà di Lingue quando si innamora dell'artista emiliano già affermato in Italia e all'estero. Diventerà la sua terza moglie. E la sua musa.
«Chi sono? Nasco a Padova da una normalissima famiglia piccolo borghese con dei nonni però particolari, molto coraggiosi e un po' pazzerelli, capaci di sfidare i canoni sociali del tempo. Penso di avere ereditato da loro la capacità di aver scelto la vita a modo mio, infischiandomene dei dettami sociali. Andare a vivere con un artista, molto più grande di me, non era nella norma».
Uno scandalo?
«Diciamo rumore. Era qualcosa che nessuno o pochi facevano e per me è stato anche fonte di sofferenza perché comunque perdi un po' le amicizie. Ma è stata anche la mia forza perché rompendo i lacci in maniera totale mi sono ricostruita una vita. Una vita che io e Fabrizio abbiamo costruito insieme, giorno per giorno. Siamo stati noi il collante della nostra coppia».
Come vi siete conosciuti?
«Novembre 1987, pensavo di andare a una cena di studenti e invece era una cena di veneziani, molto più grandi di me. Fabrizio è arrivato a mezzanotte parlando dei nuovi barbari e questo ti spiega come lui già a quel tempo sentisse il forte cambiamento sociale che stava investendo la città. Mi ha incantato».
Colpo di fulmine?
«Un paio di mesi prima avevo sognato l'uomo della mia vita, aveva i capelli lunghi, neri. Era esattamente Fabrizio. Un'altra casualità: studiando francese a Ca' Garzoni andavo sempre a vedere il giardino e la scalinata gotica che erano di fianco: lui viveva lì. Sì, colpo di fulmine. Reciproco».
Ha pesato la differenza di età?
«Non li ho mai sentiti perché Fabrizio è l'uomo più curioso, più attivo, più moderno con cui si possa vivere. Per me è stato un privilegio poter condividere la mia vita con lui. Sposarmi con lui lo rifarei tutti i giorni. E poi lo ringrazio di avermi dato questi due figli meravigliosi, Rocco e Maria Sole, che sono il senso della mia vita profonda».
Per qualcuno essere la moglie di è una diminutio.
«Diminutio? Mai. Io sono felice di essere sua moglie. E comunque quando l'ho conosciuto ero giovane, ma non sciocca: sapevo che mi mettevo in una situazione in cui io sarei sempre stata in secondo piano, ma l'ho scelto io. È vero, sono la moglie di, ma sono sempre io, non vengo meno a me stessa. Non sono mai stata in conflitto con questo suo essere famoso, anzi. E poi la vita l'abbiamo fatta assieme».
Prima di diventare Carla Plessi, cosa faceva Carla Ventura?
«Studiavo Lingue, mi manca un esame per la laurea, avevo già la tesi pronta, ma la vita non mi ha fatto finire gli studi, io tutto sommato non ci credevo e poi facevo già altre cose. Ho sempre lavorato e mi sono pagata gli studi: con una agenzia pubblicitaria, con una designer che si occupava di maglieria, ho fatto l'indossatrice per svariati anni. Poi ho cominciato a lavorare con Fabrizio e sono entrata nel mondo dell'arte: un grande privilegio essere a contatto con persone illuminate, poter stare nei musei di notte quando erano chiusi».
Ora disegna borse, le ha chiamate Carla Plessi e le vende su Instagram. Com'è nata l'idea?
«Qualche anno fa, casualmente, ho cominciato a disegnare una piccola collezione di borse. Disegnare in realtà è improprio perché io non disegno: compongo. Compro dei materiali anche approfittando dei viaggi che facciamo in giro per il mondo e con quelli creo le borse. Che sono come me: un po' raffinate, ma anche con dei difetti. E a me piacciono proprio per quelli, come le mie rughe».
Belle e imperfette. Ma anche solidali: perché ha deciso di farle realizzare alle signore della Casa Famiglia della Giudecca?
«Alessandra Morgagni mi ha messo in contatto con l'Outlet di Noventa di Piave, l'idea era di intraprendere un percorso di sostenibilità per arrivare a un progetto di economia circolare. Abbiamo coinvolto la Casa Famiglia San Pio X della Giudecca grazie a una amicizia di mamme, di bambini a scuola assieme, che poi è il bello di Venezia: ti incontri in calle, chiacchieri, le cose nascono in maniera molto facile. E c'è stata una corsa di generosità degli sponsor: da Rubelli a Lardini alle macchine da cucire. Quelle borse realizzate nel laboratorio allestito in Casa Famiglia ora sono in vendita nello shop della Fenice. Il ricavato è per la struttura della Giudecca».
Imperfezioni. Cosa pensa della chirurgia estetica?
«Fa benissimo chi decide di ricorrervi. Ma io da un punto di vista medico sono codarda, detesto gli aghi e il dolore fisico, quindi con le mie rughe convivo».
Un anno e mezzo con la pandemia, come ha vissuto l'anno scorso il lockdown?
«Malissimo e benissimo. Malissimo perché ai primi di marzo 2020 sono stata ammalata, non si sa se era Covid perché il tampone era negativo, fatto sta che ho fatto una polmonite bilaterale. Fortunatamente non sono stata intubata, ma il periodo di degenza mi ha consentito di vedere il grande lavoro dei medici e paramedici: il grazie a loro è immenso. Certe volte penso che dovremmo rileggere la storia della Serenissima Repubblica, all'epoca le pandemie c'erano, ma avevano anche difese alte. E comunque non dimentichiamo, e io non voglio dimenticare, che sono mancate tante persone a causa del virus».
Benissimo perché?
«Benissimo perché mi sono riappropriata del tempo. Il fatto di non avere più viaggiato, di non avere più praticato gli aeroporti. Ci siamo riappropriati di un tempo lungo. Con mia figlia, con Fabrizio che disegnava qui, in casa. Sono state lunghe conversazioni, ci siamo riscoperti. Ho sofferto però la lontananza della famiglia, mio figlio che era lontano, mia mamma. Ma il tempo dilatato è stato meraviglioso».
Cosa le manca dell'epoca pre Covid?
«Gli abbracci. Però adesso se abbraccio qualcuno è un abbraccio consapevole, voluto, forte».
Venezia durante il lockdown era surreale, vuota e magnifica. C'è qualcosa che non le piace della sua città?
«Io spero di non tornare mai più a vivere con quella dimensione di turismo che uccide la dinamica della città. Nei weekend non si riusciva più ad uscire di casa».
Quindi è favorevole ai tornelli?
«Tornelli no, prenotazione e pagamento sì. E si badi: non è antidemocratico, è democratico, è anche a difesa del turismo per potergli dare dei servizi di qualità».
Carla Plessi e i social.
«Mi piace Instagram, Facebook lo trovo un po' superato, troppo verboso. Instagram invece sono delle pillole dove la lingua che si parla diventa ininfluente perché si va a immagini».
Il suo luogo elettivo?
«La mia casa, ovunque e qualunque essa sia».
Un aggettivo per descrivere suo marito.
«Uno solo?».
Un capo di abbigliamento che non indosserebbe mai.
«A me piace indossare tutto».
L'ultimo libro letto.
«La storia di San Michele di Axel Munthe. Sono reduce da una vacanza a Capri e mi sono immersa in questo suo mondo».


 

Ultimo aggiornamento: 13 Settembre, 10:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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