L'otto marzo delle donne in prima linea negli ospedali contro il Covid

Lunedì 8 Marzo 2021 di Nicola Munaro
L'otto marzo delle donne in prima linea negli ospedali contro il Covid

VENEZIA - La vita, che vince sempre e comunque. Il mettersi in gioco coniugando la lotta in trincea contro il coronavirus e gli affetti, difendendoli anche dalla paura del contagio. Poi l’assenza, il peso di una mancanza e il doversi reinventare da un giorno all’altro, un anno fa. Vite da professioniste della medicina, storie di donne al fronte impegnate contro un nemico invisibile che da un anno e passa tiene in scacco il mondo intero.
Francesca Rossi è la dirigente delle professioni sanitarie dell’Ulss 3 Serenissima, in pratica la “capa” di tutto il personale sanitario non medico: infermieri, tecnici di radiologia (e non solo), operatori sociosanitari dell’Ulss 3 Serenissima. Lì dove le percentuali di lavoratrici sono altissime. «Donne e uomini in prima linea tutti coinvolti nell’assistenza diretta e a cui in quest’anno è stato chiesto moltissimo per una malattia che si conosceva poco, che spaventava e che spaventa ancora» chiarisce la dottoressa Rossi. «Abbiamo dovuto dimostrare una flessibilità eccezionale nel gestire il carico di lavoro, al personale sanitario non medico va riconosciuto che hanno saputo dare il massimo in un momento difficile in cui si potevano avere comportamenti diversi - continua la dirigente - Vedere la parte di professionisti più competenti accogliere i giovani inseriti nel vivo della lotta è stato commovente».
E non bastava appendere il camice a fine turno per spogliarsi del carico di vissuto figlio di ore passate a fianco del virus. « Le donne della nostra professione sentono anche il peso della preoccupazione nel lavorare a contatto con la malattia e la preoccupazione di avere a casa anziani e bambini - è la riflessione della dottoressa - C’era questa grande preoccupazione ma non ci sono state situazioni di fuga, anzi si è vista una grandissima responsabilità. L’esser donna nella pandemia è vivere con la preoccupazione di lavorare in prima linea e poi tornare a casa dalla famiglia da gestire: accudire i figli e le persone anziane. Questo è stato vissuto di più dalle donne della mia squadra. Questa malattia ci ha lasciato una grande solitudine. Dal mio osservatorio ho visto delle grandi persone che hanno affrontato questa pandemia mettendoci più di quanto ne avessero. E a loro stiamo chiedendo ancora tanto nell’affrontare la malattia».
«È stato un anno difficilissimo nonostante noi fossimo l’unico posto dell’ospedale nel quale si entra per una cosa bella e non per altro. Ma abbiamo dovuto fare sacrifici e proteggere tutti: noi, le pazienti e i bambini appena nati». Elisa Saccoman, infermiera, è la coordinatrice (la caposala) delle ostetriche dell’Angelo. 
«Nonostante le grandi difficoltà siamo riuscite a recuperare delle vere soddisfazioni», racconta. Il fiore all’occhiello di un 2020 - con annesso inizio 2021 - da rabbrividire è l’aver permesso (uno dei pochi ospedali in Veneto) di garantire il parto e la degenza come se fuori non ci fosse il finimondo. «Far sì che venisse rispettata la diade mamma-bambino e la triade mamma-bambino-papà è stato bellissimo. Ci siamo impegnate a studiare ogni protocollo, ci siamo dette di stare attente a tutto - spiega - e così siamo riuscite a garantire situazione fondamentale, anche con la presenza dei papà. Un anno difficile anche per le lavoratrici con i figli a casa, o anche anziani. Abbiamo dovuto isolarci per riuscire a proteggere loro, non è stato semplice ma grazie al nostro lavoro siamo riusciti a ricavare il buono nelle difficoltà. È stato uno sforzo non indifferente - continua Saccoman - il Covid ci ha creato difficoltà grosse ma La vita ce la farà anche stavolta, la peculiarità è che nonostante le mille difficoltà, la vita ha sempre trionfato: il calo di nascite non si è visto, le pazienti erano sì più timorose, ma la nascita ha avuto la meglio su tutto. Come donna ho vissuto una grande difficoltà ma molta soddisfazione per la forza d’animo e l’amore per la professione sono state dei catalizzatori di energie».
Francesca Feraretto, coordina la Centrale Operativa Territoriale dell’Ulss 3, la Cot: organizza i tamponi nelle scuole e i test a domicilio. Un anno fa la svolta: in pochi giorni è passata da responsabile di un gruppo di 6-7 persone a uno di 30, attivo praticamente sempre. «Per me è stato un gran cambiamento, una rivoluzione sia dal punto di vista del servizio, sia del gruppo. Sono cambiate anche le cose di cui ci occupavamo - ricorda - è stato un adattarsi e una metamorfosi continua tra normative sempre nuove, riorganizzarsi in continuazione e fare punto di riferimento per gli altri. La cosa più complessa è stata questa rigenerazione continua, è stato un anno dinamico che ha permesso di mettersi alla prova, di sfidarsi».
La più grande difficoltà nell’essere donna in quest’anno? «Lavorare 13 ore al giorno, anche sabato e domenica, con un bambino di 5 anni a casa.

Non esserci come punto di riferimento nella crescita, è stato difficile ma non potevo sottrarmi. Quest’anno ha portato a delle rinunce, a tutti».

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