Scontro sull'estradizione in Usa dello skipper arrestato a Trieste: «Rischia l'ergastolo per la coca»

Martedì 28 Novembre 2023 di Angela Pederiva
Milos Radonjic

È scontro giudiziario sull'estradizione dello skipper Milos Radonjic dall'Italia agli Stati Uniti.

L'uomo-simbolo della barca a vela Maxi Jena, conosciuto a Venezia come campione di regata e arrestato a Trieste a ridosso della Barcolana, attende nel carcere di Tolmezzo l'udienza sul suo destino: all'orizzonte il montenegrino vede aleggiare lo spettro dell'ergastolo, perché è questa la condanna ventilata dal Tribunale per il distretto orientale di New York negli atti che lo accusano di associazione per delinquere e traffico di stupefacenti. «Il nostro assistito rischia una pena maggiore di quella di Filippo Turetta, per fare un esempio: questa è un'incongruenza giuridica», dice l'avvocato Alexandro Maria Tirelli, che lo difende insieme alla collega Federica Tartara, alludendo al femminicidio di Giulia Cecchettin nell'ipotesi in cui non venga contestata la premeditazione.


LE ACCUSE
Secondo i riscontri dell'Homeland Security Investigations, non sussiste alcuno scambio di persona: sarebbero proprio del velista 33enne, e non di un omonimo malavitoso, le impronte digitali che lo identificano come il "Pirata dell'Ignoto" che avrebbe comunicato con il resto della sua organizzazione criminale transcontinentale tramite sistemi cifrati. «Queste intercettazioni si legge nella carte dell'inchiesta hanno mostrato che Radonjic ha coordinato la pianificazione e il trasporto di migliaia di chilogrammi di cocaina dal Sudamerica ai Paesi europei mediante navi mercantili che attraversano il mare aperto, oltre al trasporto dei proventi del narcotraffico ottenuti dalla vendita di droga in tutto il mondo». In particolare il montenegrino è accusato di aver organizzato, fra ottobre e dicembre del 2020, tre tentativi di carico su una nave battente bandiera maltese, per un totale di 2,602 tonnellate.


LE MEMORIE
Sulla consegna dell'indagato a Washington, è guerra di memorie. Il sostituto procuratore generale Carlo Maria Zampi ha chiesto alla Corte d'Appello di Trieste di «pronunciare sentenza favorevole all'accoglimento della domanda di estradizione», in quanto «l'ordinanza di custodia cautelare riguarda fatti che costituiscono reato sia per gli Usa che per la legge italiana», gli illeciti contestati non sono «di natura politica», non c'è «ragione di ritenere che l'estradato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori» e «lo Stato richiedente non prevede la pena di morte per i reati per i quali si procede». Secondo la tesi dei legali Tirelli e Tartara, invece, non solo il luogo del delitto (e dunque la competenza ad agire) non può essere individuato «nel territorio statunitense in luogo di quello maltese», ma si rischia anche di comminare il carcere a vita per un tentativo di narcotraffico «per il quale la normativa italiana stabilisce una pena notevolmente inferiore all'ergastolo», motivo per cui la difesa ha domandato ai giudici di sollevare «questione di legittimità costituzionale della legge di ratifica del trattato sull'estradizione tra Italia e Usa». I ministeri della Giustizia e degli Esteri hanno trasmesso tutti i documenti a Trieste, ma l'avvocato Tirelli rilancia: «Il Governo italiano dovrebbe intraprendere una seria riflessione sul suo assetto internazionale in tema di cooperazione. L'omogeneità dei sistemi è imprescindibile: non si possono consegnare individui, rischiando ergastoli, quando per gli stessi reati in Italia sono previste pacche sulla spalla».

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