Manager picchiato e minacciato: «Un anno in balia di questi banditi, ho perso tutto società, casa, famiglia»

Domenica 24 Aprile 2022 di Maria Elena Pattaro
Renato Celotto, ex responsabile commerciale della Btime Italia
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TREVISO - «Oggi torno a vivere. L'incubo è finito. Chi non lo ha vissuto non può neanche immaginare cosa significa essere praticamente sequestrato per un anno da questi malviventi e perdere tutto: le società, le auto, la casa, gli affetti. Ma soprattutto la dignità». Renato Celotto, 55 anni, risponde al telefono tra le corsie di un supermercato. Nel carrello ha bibite e patatine: per festeggiare l'arresto dei suoi aguzzini. È lui la vittima principale dell'estorsione messa in atto nei confronti della holding BTime Italia srl, di cui è rappresentante commerciale.

Ieri, 23 aprile, è tornato finalmente a respirare, dopo due anni di apnea.

Renato, qual è stata la sua prima reazione alla notizia dell'arresto dei tre estorsori?
«Sono scoppiato a piangere. Lacrime di sollievo e di liberazione. Potrò tornare finalmente a Treviso, adesso sono fuori dal Veneto, per questioni di sicurezza. Ho pianto a lungo ripensando a tutto: sono stato sequestrato, vessato, ho visto la mia famiglia minacciata. Ho vissuto nel terrore, sono sceso a compromessi che mai avrei immaginato».

Qual è stato il momento peggiore?
«Quando mi hanno detto che avrei seppellito i miei due figli: quella è stata la cosa più brutta in assoluto. Più ancora di quando hanno tentato di tagliarmi le dita delle mani. O di quando mi picchiavano: ne uscivo con le ossa rotte. Da un occhio adesso ci vedo poco, ho un dente spezzato e un ginocchio danneggiato».

Riavvolgiamo il nastro a quel 21 maggio del 2020 quando è cominciato tutto. Che cosa è successo?
«D'Altoé (Rudi D'Altoé, ndr) mi aveva dato appuntamento per sistemare i conti: mi doveva oltre 100mila euro. Li aspettavo da due anni e ho sperato che fosse la volta buona. Invece mi ha venduto agli altri due (Fabio Gianduzzo e Edi Biasiol, ndr). Mi hanno tirato un pugno in faccia dicendo che io dovevo dei soldi a lui e che le società dovevano lavorare per loro».

Che cosa è successo dopo?
«Hanno iniziato a pretendere soldi per comprarsi macchine, moto, per pagarsi le ville e i viaggi. E se non arrivavano mi picchiavano e minacciavano di morte la mia compagna, i miei figli. Facevano così anche con altri imprenditori. Così ho dovuto intestarmi finanziamenti, chiedere prestiti, indebitarmi e fare anche carte false. Sono indagato per alcune operazioni che ho dovuto fare sotto minaccia. Io ero la loro bella facciata».

Ha mai provato a ribellarsi?
«Sì, certo. Ma quando l'ho fatto sono finito a letto per diversi giorni, massacrato di botte. Senza poter andare al pronto soccorso, ovviamente perché sennò sarebbe venuto fuori tutto».

Come è riuscito a denunciare quindi?
«Grazie a un amico che si era accorto che mi ero allontanato e che mi comportavo in modo strano. È riuscito a organizzare un incontro con i carabinieri sfruttando una delle poche uscite di svago che mi erano concesse».

Era controllato costantemente?
«Sì, non potevo fare telefonate senza il loro permesso. E se ne ricevevo, dovevo mettere in vivavoce. Se non rispondevo a una loro chiamata entro il terzo squillo, per ogni squillo in più scattavano tre sberle. Venivano a prendermi a casa la mattina, si piazzavano in ufficio, dovevo dormire dove dicevano loro, a volte anche su una sedia. Ho girato mezza Italia così, ho dovuto dare anche la casa di Casier che avevo preso in affitto e quando poi avevo cercato di rientrarci, il proprietario mi ha sfrattato preoccupato per la brutta gente che ci aveva messo piede».

Ha dovuto tagliare i ponti con amici, colleghi e conoscenti?
«Per forza! Per salvargli la vita. Non volevo mettere a repentaglio anche loro. Avevo mandato la foto di un pestaggio a un amico e quelli il giorno dopo si sono presentati a casa sua per cancellare le prove».

E adesso?
«Adesso è tempo di rinascita. Voglio chiudere questa storia».

 

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