Licenza revocata al pizzaiolo "eroe": «Prima il Covid e adesso la burocrazia, è un'ingiustizia»

Mercoledì 8 Luglio 2020 di Tina Ruggeri - Giuliano Pavan
LA PIZZERIA Il locale di via Sant'Ambrogio chiuso per la revoca della licenza al titolare
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TREVISO-  A fine marzo, in pieno lockdown, quando i ristoranti erano chiusi ed era consentita soltanto la consegna a domicilio di cibi e bevande, non avendo più fattorini a disposizione aveva deciso di chiudere il locale per fare lui stesso quella consegna così speciale e necessaria: dieci pizze da portare a medici e infermieri del Ca’ Foncello. Mimmo, per quel gesto, erano stato descritto come un eroe. Ora, a distanza di poco più di tre mesi, si è visto revocare la licenza per «mancanza dei requisiti morali». Da lunedì scorso, infatti, le serrande del ristorante pizzeria da Mimmo sono abbassate. E il titolare, Domenico Panuccio, 35enne calabrese ma trevigiano d’adozione che in quel locale di via Sant’Ambrogio ha investito centinaia di migliaia di euro, non ha potuto far altro che prendere atto del provvedimento inviatogli dal Comune di Treviso. «Ma non è giusto - afferma - così sono rovinato».

IL MOTIVO
A provocare la revoca della licenza è, di fatto, un episodio accaduto nel passato di Mimmo. Nel 2016 il 35enne ha subito una condanna penale per colpa di un recupero crediti di cui si è reso protagonista. Per legge, chi viene condannato per reati di questo tipo, deve aspettare cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza per poter ottenere, previa riabilitazione concessa dal tribunale di sorveglianza, la licenza per l’esercizio di attività di somministrazione di alimenti e bevande. Quando, quattro anni e mezzo fa, Mimmo Panuccio fece domanda per ottenere la licenza, il suo casellario giudiziale era immacolato. Presentati tutti i documenti, aveva ottenuto il via libera per aprire prima la pizzeria da asporto di via Torselli e poi, visto che gli affari andavano bene, ad allargarsi nel locale di via Sant’Ambrogio. Il 20 maggio scorso la burocrazia ha fatto il suo corso, e al 35enne è stata inviata una pec in cui veniva informato della revoca della licenza per colpa di quella vecchia condanna. «Ho ammesso i miei errori e ho pagato, scontando la pena che mi era stata inflitta - afferma Mimmo - Mi sono preso le mie responsabilità e ho cambiato vita. Ho dato tutto per questo locale, lavorando come uno schiavo per riabilitarmi. Fra sei mesi sarebbero scaduti i cinque anni da quella sentenza definitiva. Vedermi revocare la licenza è una mazzata».
LE CONSEGUENZE
Di certo sei dipendenti sono rimasti senza lavoro. E Mimmo adesso non sa come pagare i debiti: «Per portare avanti l’attività, soprattutto dopo il Covid, ho lavorato dalla mattina fino alla sera, tutti i giorni - sottolinea - l’ho fatto per me ma anche per i ragazzi che lavorano con me. Mi sono comportato bene, non ho mai avuto una segnalazione, il locale ha superato tutti i controlli compresi quelli sanitari. È un’ingiustizia farmi chiudere in questo modo». Il suo legale, l’avvocato Alessandra Nava, sta valutando il da farsi. Un’ipotesi sarebbe presentare ricorso al Tar per sospendere il provvedimento. Ma la strada potrebbe essere più lunga dei sei mesi che mancano alla riabilitazione. «Purtroppo il provvedimento è oggettivo, la questione è delicata e i margini vanno valutati bene - afferma il legale - Posso comunque dire che Mimmo ha pagato il suo debito con la giustizia. Ha scontato la pena tramite l’affidamento ai servizi sociali, circostanza che viene concessa a persone con determinati requisiti, e Mimmo li aveva e li ha tutti». © RIPRODUZIONE RISERVATA
Ultimo aggiornamento: 15:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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