Aziende spolpate, arresti per estorsione. Botte e minacce: «Sono un affiliato»

Lunedì 25 Aprile 2022 di Giuliano Pavan
La sede della Btime Italia in via Le Canevare a Treviso, la società vittima dell'estorsione
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TREVISO - L’attività estorsiva ai danni della Btime Italia srl non era caratterizzata dal metodo mafioso. O meglio, al momento non è contestato dal sostituto procuratore Gabriella Cama. Gli inquirenti però ci stanno lavorando. E gli elementi raccolti dagli investigatori potrebbero portare a un ulteriore sviluppo dell’indagine. Tra questi il fatto che Fabio Gianduzzo, il 55enne di Eraclea finito in carcere assieme a Edi Biasiol, 49enne di Gorizia, per l’estorsione ai danni di Renato Celotto (il 55enne responsabile commerciale della BTime Italia srl, ma i due sono stati denunciati anche dall’amministratore unico della società, Michele Gallà, e da Orlando Negro, titolare della Excellences srl, ndr) si presentasse con il proprio nome di battesimo aggiungendo però il termine “mammasantissima”.

Dettaglio riportato nell’ordinanza del gip Angelo Mascolo quando prende in esame la deposizione resa da Negro, che racconta del primo incontro con Gianduzzo «in un bar lungo la Treviso Mare». 


IL TERMINE

Di prove certe non ce ne sono. Ma l’utilizzo da parte di Gianduzzo del termine “mammasantissima” ha fatto sobbalzare gli inquirenti. Nel mondo della malavita organizzata, in particolare della mafia siciliana o della camorra napoletana, quell’appellativo sta a significare un pezzo grosso, un capo indiscusso venerabile come la Madonna. Spesso però viene anche accostato a un personaggio estremamente influente. Con la ‘ndrangheta sembrava avere poco a che fare. Ma le recenti indagini della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria hanno portato alla luce quelle che vengono definite le nuove figure della criminalità organizzata calabrese: un tempo si pensava che il “padrino” fosse l’apice della piramide, il boss dei boss. Non è così. Pare sia solo il settimo gradino, appena sotto la “crociata”, la “stella” e il “bartolo”. E poi? Se il “conte Ugolino” è al primo posto, il Capo con la C maiuscola, al secondo c’è l’”infinito” e al terzo, appunto, il “mammasantissima”. Figura dunque di vertice, e di comando. Che Gianduzzo si presentasse in questo modo, secondo gli inquirenti era soltanto un modo per incutere timore, non avendo alcun legame con le ‘ndrine. Una strategia comunicativa efficace per far credere di essere un uomo che fa sul serio, anche millantando di essere parte di un sistema criminale più articolato e pericoloso. E Renato Celotto, così come Michele Gallà e Orlando Negro (e magari anche Rudi D’Altoè, il 45enne di Roncade indagato assieme a Gianduzzo e Biasiol a cui è stato notificato l’obbligo di dimora e firma quotidiano, ndr) è caduto in questa trappola andata avanti per oltre un anno.


LA PROVENIENZA

Fabio Gianduzzo è nato in Svizzera, il 24 maggio del 1966. Ma da tempo, ormai, vive a Eraclea. Quel Comune che secondo il Prefetto di Venezia, Vittorio Zappalorto, doveva essere sciolto per mafia perché era da troppo tempo che il clan dei casalesi era insediato in Veneto Orientale e dopo vent’anni bisognava dare un forte segnale di discontinuità. Lo aveva scritto, nero su bianco, nella relazione che il 18 dicembre 2019 aveva inviato al Ministero degli interni, a Roma, e che è rimasta segreta fino allo scorso gennaio. Che la ‘ndrangheta sia presente nel tessuto economico e sociale di Eraclea non è dunque un mistero. E non è nemmeno un mistero che il nome di Fabio Gianduzzo, cinque anni fa, fosse già salito agli onori delle cronache perché indagato in un’inchiesta della Procura di Venezia su una presunta organizzazione criminale, con legami con la ‘ndrangheta, specializzata nell’acquisire ditte in crisi per riciclare soldi sporchi e mettere a segno truffe ai danni degli ignari fornitori. Acquisizioni che avvenivano anche attraverso minacce, estorsioni e pestaggi. Un po’ come accaduto nella vicenda relativa alla BTime Italia srl e alle sue due società partecipate “Clt Fashion Group” e “Bt Rent srl” che, di fatto, sono passate sotto il controllo di Gianduzzo e Biasiol. In quell’inchiesta venivano contestate truffe ai danni di oltre 150 fornitori di tutta Italia, chiamati in gergo “limoni”: da spremere evidentemente. Tra le tante ditte “fasulle”, aperte e chiuse in pochi giorni per non dover pagare le forniture, c’erano anche la “Az Service” di Ponte di Piave e la “Biblo Srl” di Monastier.
 

Ultimo aggiornamento: 08:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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