Alessandro Del Piero ha scritto un libro: ManuAlex, tutto il bello del calcio

Venerdì 10 Dicembre 2021 di Angela Pederiva
Alessandro Del Piero

Dal suo abete, «l'albero di Natale perfetto», pendono palloni e maglie. Compresa quella bianca, con lo scudo rosso, a cui è legato il tag del Calcio Padova. Arrivano le feste anche sui social e Alessandro Del Piero non dimentica le sue origini. Nemmeno nel suo ManuAlex (Rizzoli), scritto con il giornalista Marco Cattaneo, manuale illustrato in cui il campione del mondo svela «tutto il bello del calcio» ai ragazzi che hanno in mente solo il pallone (magari giallo come il suo primo: «Era il mio sole»): «È il primo pensiero appena sveglio al mattino, l'ultimo pensiero prima di andare a dormire la sera, e tutto quello che c'è in mezzo».

IL TEMA DI ITALIANO DI DEL PIERO ALLE ELEMENTARI

Pensare che nel tema d'italiano alle elementari il piccolo Alessandro scrisse che da grande avrebbe voluto fare l'elettricista («Era il lavoro di papà (Gino, ndr.)»), il cuoco («Mi piaceva ehm, mi piace ancora mangiare»), il camionista («Nella mia testa, il camion era un posto magico»).

E il calciatore? «Ero troppo timido per dirlo in giro». Ma la passione era incontenibile e veniva esercitata con costanza, nel vigneto dietro casa, in mezzo alla campagna trevigiana. «C'eravamo solo noi, l'erba, i sassi, i tiranti e un pallone. E quando correvi era necessario fare attenzione a non colpire i tiranti, quindi durante la corsa bisognava abbassarsi e impedire al pallone di finire in mezzo ai filari dove c'era la terra arata Una volta che impari a giocare in un posto così, puoi farlo ovunque!». Perfino alla Juventus e da capitano, ottavo miglior marcatore della serie A (il volume trabocca di statistiche come questa), anche se all'inizio mamma Bruna non voleva che l'aspirante attaccante si ammalasse, motivo per cui un giorno gli ordinò: «Da domani stai in porta, così non sudi!».

ALEX DEL PIERO IN OSPEDALE

A letto il futuro bomber ci finì davvero, quando aveva 8 anni. «Sono entrato nella scuola calcio del San Vendemiano, peccato che il secondo giorno rivela ho fatto un incidente in bicicletta davanti a casa mia Per due settimane, sono rimasto in ospedale con un brutto trauma cranico e la testa che girava all'impazzata». Di quel ricovero, Del Piero rammenta l'encefalogramma quotidiano. «Ma soprattutto ricordo le parole del medico che mi aveva preso in cura: Alessandro non potrà giocare a calcio per tutto l'anno disse a mamma e papà. Mi si gelò il sangue, perciò giurai a me stesso: come avevo dimostrato di avere la testa dura resistendo a quella terribile botta, ora lo avrei fatto anche in senso metaforico, impegnandomi al massimo per tornare ancora più carico e determinato nella stagione successiva». Inutile dire che fu così, con tutta la trafila nelle giovanili, fino all'approdo al Padova e quindi al passaggio alla Juve, 19 anni conclusi con lo stadio in lacrime. Piangevano tutti, tranne lui. «Per molti dei miei compagni confida io ero un punto di riferimento, un condottiero, e allora volevo che mi ricordassero così: sorridente, fiero di tutto ciò che avevo fatto in quegli anni, a petto in fuori di fronte a una nuova sfida». Prima il Sydney, poi il Delhi Dynamos, quindi la nuova vita da imprenditore e commentatore.


LE CURIOSITÀ

Nelle 288 pagine di aneddoti e curiosità, trovano spazio i grandi campioni (da Pelè a Neymar) e le grandi squadre (dal Milan al Liverpool), di ieri e di oggi. Così come le nazionali e i gol, gli stadi e le tifoserie, i ruoli e le scaramanzie, i record e le esultanze. Ecco, in quest'ultimo capitolo un po' si capisce perché nella sezione «grandi allenatori» non sia citato il mister friulano con cui Del Piero è stato probabilmente meno in sintonia. L'ex bomber lo racconta con eleganza, quando spiega la genesi della linguaccia: «Tutto è nato per scherzo nel periodo in cui Fabio Capello era il nostro allenatore e io partivo spesso dalla panchina. Quando entravo in campo per giocare gli ultimi dieci-quindici minuti segnavo sempre, tanto che quell'anno avevo la media gol per minuti giocati più alta di tutti». In quel periodo andava in onda uno spot-tormentone. «Tutti me lo ripetevano in continuazione: Ti piace vincere facile, eh? Giochi solo dieci minuti, fai gol e te ne vai a casa senza neanche fare la doccia. Visto che la cosa mi divertiva parecchio, ho iniziato a esultare in questa maniera un po' bambinesca, che poi è diventata un piccolo marchio di fabbrica». Una ditta da 188 reti.

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