Vigili, il comandante Tesoro rischia gli arresti domiciliari

Sabato 24 Novembre 2018 di Francesco Campi
Vigili, il comandante Tesoro rischia gli arresti domiciliari
ROVIGO - La posizione del comandante della polizia locale di Rovigo Giovanni Tesoro tornerà al vaglio del Tribunale di Venezia, sezione misure cautelari. L'ha deciso la Cassazione nell'ambito del procedimento che vede Tesoro indagato per peculato, falso ideologico in atto pubblico e truffa aggravata. Una vittoria, anche se solo a metà, per il procuratore capo Carmelo Ruberto, che lo scorso 23 marzo aveva firmato l'avviso di chiusura indagini e aveva chiesto nei confronti del comandante l'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari o, in subordine, della sospensione dall'esercizio della funzione. Ma, prima il giudice per le indagini preliminari prima e poi il Tribunale di Venezia, sezione riesame, avevano respinto la richiesta. La Procura ha impugnato in Cassazione l'ordinanza del 4 maggio del Triubunale di Venezia e il 16 ottobre la Suprema corte si è espressa, con una sentenza, pubblicata giovedì, nella quale accoglie parzialmente l'appello della Procura rodigina: «L'ordinanza impugnata deve essere annullata per nuovo esame si legge nel testo che dovrà avere ad oggetto l'accertamento della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nei confronti dell'indagato esclusivamente con riferimento al reato di cui all'articolo 55-quinquies, comma 1, del decreto legislativo numero 165 del 2001, e, in caso positivo, l'individuazione della misura che risulti idonea, adeguata e proporzionata».
MISURE CAUTELARISi dovrà, quindi, fare una nuova valutazione sulla necessità o meno di misure cautelari nei confronti di Tesoro, relativamente al reato di false attestazioni o certificazioni, previsto dal Testo unico sul pubblico impiego, che prevede la pena della reclusione da uno a cinque anni. Secondo la Cassazione, infatti, non sarebbe fondata la contestazione della truffa aggravata al comandante, perché, secondo quanto formulato dal pubblico ministero «nella sua qualità, attestando falsamente la sua presenza in ufficio o giustificando fraudolentemente la propria assenza per motivi di servizio o di malattia, e inducendo l'Amministrazione in errore, si procurava l'ingiusto profitto di ottenere la remunerazione, stabilita in modo onnicomprensivo, ma con obbligo della presenza in servizio presso la sede comunale, con danno per l'ente pubblico, dal luglio 2015 al marzo 2017», bensì quella delle false attestazioni o certificazioni: «In relazione a tale figura di reato spiega la Cassazione - è prevista una pena da uno a cinque anni, che consente l'applicazione di una misura cautelare personale, coercitiva o interdittiva, ovviamente all'esito di una positiva verifica, in concreto, della sussistenza delle esigenze cautelari».
TRIBUNALE DEL RIESAMELa Suprema corte, a parte questo passaggio, per il resto sposa su tutta la linea la ricostruzione del Tribunale del Riesame che, spiega, «ha escluso la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati contestati. Ha osservato che: deve ritenersi configurabile il reato di peculato d'uso, e non quello di peculato, perché non vi è prova di un utilizzo dell'autovettura per fini extraistituzionali in relazione ai viaggi extracittadini, e perché i viaggi cittadini sono sì per motivi personali, ma limitati ad alcuni giorni e per tempi ridotti; deve ritenersi configurabile il reato di falsità ideologica in certificazioni e autorizzazioni amministrative, e non quello di falsità ideologica in atto pubblico, perché i registri macchina sono destinati a controlli interni dell'amministrazione al pari dei fogli di viaggio; deve escludersi la configurabilità del reato di truffa aggravata, perché l'indagato, pur soggetto all'obbligo di presenza in ufficio, non era tenuto a rispettare orari predeterminati, e perché, di conseguenza, è impossibile anche individuare il danno erariale».
Francesco Campi
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