Apre la mostra sulle avventure di Giovanni Miani, l'Indiana Jones di Rovigo

Sabato 12 Marzo 2022 di Elisabetta Zanchetta
Il grande coccodrillo rosa posto all'ingresso della mostra di palazzo Roncale

ROVIGO - «Non è forte chi non cade mai. È forte chi si rialza quando è caduto. Che decide di ripartire, sempre, di sognare in grande, di non arrendersi».
Le parole di Natalino Balasso descrivono perfettamente Il Leone bianco del Nilo, ovvero Giovanni Miani (Rovigo, 17 marzo 1810 – Tangasi, 21 novembre 1872), a cui è dedicata la mostra, da oggi al 26 giugno a Rovigo a palazzo Roncale, presentata ieri mattina al salone del Grano. «Definire Miani l’Indiana Jones di Rovigo è alquanto riduttivo – sottolinea Mauro Varotto, curatore -. È un personaggio affascinante, controverso, complesso, al di là di una dimensione avventurosa, filmica. La sua vita è da valorizzare, e si snoda in tre sogni irrealizzati: quello della musica, che lo spinge a voler diventare compositore, cantante, e riscattarsi dalle sue umili origini; la partecipazione ai moti risorgimentali (incolpato di aver difeso troppo debolmente il forte), che lo spinge a comporre un inno durante i Moti del ’48; la ricerca in tre spedizioni, dal 1859, delle sorgenti del Nilo”.

LA VITA

Miani, nasce a Rovigo il 17 marzo del 1810, figlio naturale di Maddalena Miani, merciaia, della parrocchia del Duomo, e del patrizio veneziano Pier Alvise Bragadin, che lo accoglie, senza mai riconoscerlo, a Venezia ormai 14enne, facendosene carico. Sentendosi nessuno, vuole diventare a ogni costo, un uomo che il mondo ammira. E alla realizzazione di quei sogni di adolescente infelice, dedicò tutta la vita.
«Miani non è stato solo cartografo, esploratore e viaggiatore, ma un costante cercatore di patrie, dove essere riconosciuto accolto, un uomo senza padre alla ricerca di una dimensione a cui appartenere: Venezia, l’Europa, l’Africa – aggiunge Varotto -. Miani lascia un vero e proprio testamento: immagini vivide, schiette, fuori dai giochi e dagli interessi del tempo, che vedono in Africa traffico di schiavi e pretese di egemonia. Il suo è uno sguardo disincantato, talvolta ingenuo che prende le distanze dal potere e da ‘esplorare’ considerato sinonimo di ‘conquista».
Renato Casaro, celebre cartellonista cinematografico, incaricato dalla Fondazione Cariparo di redigere il manifesto della mostra, conferma che «Miani potrebbe diventare il soggetto di una grande produzione internazionale, perché il suo è un caso in cui la realtà supera la fantasia».

IL MANIFESTO

Il manifesto della mostra, lo ritrae mentre incede al centro di un paesaggio infinito di sabbia, dune e antiche vestigia, che segna su carte geografiche ancora bianche le sue nuove rotte. Alle sue spalle, una grande luce, forse un sole o la luna, a simboleggiare l’indomita volontà di andare sempre avanti, anche se vecchio e malandato, ripartendo dopo ogni sconfitta.
«La mostra porta alla luce un pezzo di storia sconosciuta del Polesine - conclude Gilberto Muraro, presidente della Fondazione Cariparo - parte di un passato che arricchisce la consapevolezza del presente e del futuro».
 

Ultimo aggiornamento: 16:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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