Maria Paiato, l'attrice rodigina in scena con "Boston Marriage": «Prima il teatro, poi c'è Verdone»

Sabato 15 Aprile 2023 di Chiara Pavan
Maria Paiato

ROVIGO - Ama i personaggi complessi, senza paura di svelare pensieri inconfessabili. Maria Paiato non ha paura dei personaggi difficili. Come la sua Anna di "Boston Marriage", la pièce di David Mamet attesa fino a domenica al Del Monaco di Treviso, nel cartellone dello Stabile, che la vede duettare con un'altra regina del palcoscenico, Mariangela Granelli, e con la giovane Ludovica D'Auria, nella regia di Giorgio Sangati.

L'attrice rodigina interpreta così «una donna colta, intelligente e raffinata» in un incontro-scontro con l'amica ed ex amante Claire, un corpo a corpo di parole che lascia affiorare temi importanti, dall'omosessualità alla condizione femminile, e poi la parità, le differenze di classe, l'ipocrisia e le convenzioni sociali.

Come si è avvicinata alla sua Anna?
«La mia Anna è fortemente caratterizzata dal bisogno di essere plateale, ridondante: lei parla e parla, e cerca di organizzare le cose a modo suo. Claire, invece, è più irruenta e passionale. E poi nel mezzo c'è la cameriera, che a sua volta offre un altro punto di vista».

Un testo ricco di spunti.
«È una commedia scoppiettante, con tempi comici, battute sarcastiche, taglienti, adatte a me. La gente si diverte osservando questo terzetto che si muove in un meccanismo dai ritmi perfetti. Poi si parla sì di omosessualità, ma non si insiste: anzi, è quasi uno dei tanti temi affrontati, come amore, amicizia, complicità. Alla fine il pubblico entra in una girandola di passioni, emozioni, fraintendimenti».

La ritroveremo ancora in "Vita da Carlo" nei panni della governante Annamaria. Come maltratterà Verdone adesso?
«Da personaggio ho diverse possibilità di strapazzarlo: la sceneggiatura è divertente, Verdone è un grande signore, partecipare a questo progetto è sempre un regalo. Lo desideravo da sempre e sono stata esaudita».

E Verdone com'è?
«Generoso. Sta sul set da mattina a sera, tutti i giorni: per lui è un grande impegno, ma questi grandi artisti non fanno sentire la loro fatica, sembrano invincibili. Consiglio a tutti di lavorare con lui, una bellissima lezione».

Come sceglie i progetti per piccolo e grande schermo?
«Non riesco a sentirmi nella posizione di una che decide cosa vuole fare: mi arrivano proposte e cerco in genere di far coesistere il teatro con il resto. Ora si è instaurato un rapporto molto bello col Ctb di Brescia, col il desiderio di fare altri progetti insieme».

Che tipo di spettatrice è?
«Mi piace il teatro in tutte le sue espressioni e stili, ma cerco quello che fa lavorare il cervello, spingendolo a immaginare».

E al cinema?
«Faccio fatica: se vado il pomeriggio prima dello spettacolo esco sempre in una dimensione poco reale. Dopo aver visto "Pulp Fiction", dovevo andare in scena con Adolfo Tieri e Giuliana Lojodice in "Il marito ideale" di Wilde, e ancora non so come ho fatto a finire lo spettacolo. Il cinema mi sposta».

Ha lavorato con grandi registi: c'è una lezione che ricorda?
«Ricordo una prova con Valerio Binasco: era contento, e io dissi "mamma mia, chissà come la farò domani". E lui si arrabbiò, mi disse "non importa, domani è un altro momento, non devi replicare il buon risultato di oggi, devi fare bene anche se in un altro stato". E aveva ragione: a teatro siamo umanamente e fisicamente presenti, non siamo la replica del giorno precedente».

Ha lavorato pure con Vitaliano Trevisan nella pièce "Il delirio del particolare" diretta sempre da Sangati.
«Vitaliano mi piaceva molto, era un uomo di pochissime parole, ma ogni volta che gliene usciva una, era l'essenziale. Per certi aspetti sentivo una familiarità con lui, una provenienza comune, proletaria, provinciale, quando ci parlavamo ci si capiva. Manca molto a tutti». 

Ultimo aggiornamento: 17 Aprile, 16:54 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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