Tutti d'accordo nel togliere l'onorificenza di Cavaliere di Gran Croce al dittatore comunista Josip Broz Tito, il «criminale senza pietà che si è macchiato di uno sterminio ignobile». E tutti d'accordo anche nel vietare l'intitolazione di strade e piazze non solo a esponenti del partito e dell'ideologia fascista, ma anche a coloro che hanno ricoperto ruolo dirigenziali nel Pnf o rivestito cariche nella Repubblica sociale italiana. Tutti, tranne Fratelli d'Italia.
LE FINALITÀ
Eppure tutto lasciava presagire che la proposta di legge sarebbe passata all'unanimità. Il proponente, Alberto Villanova, ci lavorava da tempo e, pur sapendo che una volta spedita a Roma c'era il rischio che marcisse in un cassetto, alla pari di tutte le precedenti proposte di legge statali di iniziativa regionale, aveva cercato che il testo fosse condiviso. Ed era riuscito a portarlo in aula prima del 10 febbraio, giorno del ricordo degli infoibati. Perché una legge statale? Perché è la legge nazionale dire che per togliere una onorificenza, il diretto interessato deve poter avere diritto di parola. Solo che il dittatore Tito è morto e, dunque, se non si cambia la legge, il titolo di Cavaliere di Gran Croce assegnatogli dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat nel 1969 non si può revocare. Di qui l'iniziativa legislativa. Che l'aula fosse d'accordo lo si è intuito subito dall'assenza di interventi: dopo Villanova e la correlatrice Camani, hanno preso la parola solo in due, i leghisti Giuseppe Pan («Puliamo le città dai nomi dei dittatori») e Marzio Favero («È giusto che si approvi una legge che ci obbliga di nuovo a fare i conti con gli orrori del 900? Io direi purtroppo sì, perché se guardiamo a quanto sta accadendo adesso in Europa ci rendiamo conto che stiamo ripetendo esattamente gli stessi errori. Bene che ci sia la volontà di avere un approccio critico, non ideologico, alle questioni»).
Pareva fatta. E invece ecco l'emendamento di Vanessa Camani: «Siccome pensiamo che l'intitolazione dei luoghi pubblici debba essere un processo di costruzione di una memoria condivisa, chiediamo che sia introdotto un medesimo principio non soltanto contro i reati e i crimini commessi da Tito, ma anche contro esponenti del regime fascista». In realtà il testo originario contemplava anche coloro che hanno pubblicamente promosso, partecipato o aderito alla campagna per la difesa della razza. Villanova l'ha fatto presente a Camani: scritto così, sarebbero stati cancellati anche personaggi che poi hanno rinnegato il fascismo. UNo su tutti, Giorgio Bocca. Testo, dunque, corretto e votazione: approvato, ma senza i voti di FdI. Viene bocciato, invece, l'emendamento di Erika Baldin (M5s) che chiedeva di modificare il titolo della legge aggiungendo, accanto a Tito, anche i nomi di Mussolini, Vittorio Emanuele, Bolsonaro, Putin. Ma è il mancato sì di FdI a tenere banco.
LO SCONTRO
Camani scandisce: «Il dato politico è perché i consiglieri regionali di Fratelli d'Italia, tutti e cinque, non sono d'accordo nel vietare l'intitolazione di strade, vie e piazze a esponenti del Partito fascista. Questa ambiguità di FdI è una macchia nera sulla dignità di questo consiglio, un'ambiguità che offende tutta la Regione e tutti gli italiani». Soranzo scatta come un molla: «Noi siamo dalla parte di chi soffre, dalla parte di superare la storia, sul fascismo abbiamo già detto quello che pensiamo. Camani deve chiedere scusa. Voteremo a favore della proposta di legge e quindi, di fatto, anche all'emendamento che è stato approvato». In aula è bagarre, la presidente di turno Francesca Zottis sospende più volte la seduta, Ostanel annuncia che non metterà il suo voto accanto a quelli che non rinnegano i crimini fascisti, Baldin si astiene. Della giornata resterò il ricordo della polemica, più che il testo mandato a Roma. Joe Formaggio rincara: «Io pensavo che a quell'emendamento la Lega votasse contro».
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