Coronavirus, cosa insegna questo disastro a noi uomini d'impresa

Mercoledì 4 Marzo 2020 di Bruno Vianello*
Bruno Vianello
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Gentile Direttore, 
come imprenditore vorrei condividere alcune riflessioni su questo momento particolare che stiamo tutti vivendo a causa del Coronavirus e la possibilità di ricavare da tale avversità un insegnamento.  Chi conosce Texa sa benissimo che è un'azienda da sempre contraria alla delocalizzazione: una posizione che abbiamo espresso già oltre dieci anni fa, agli albori della corsa verso il nuovo Eldorado giallo.

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Pure rimanendo sempre fedele a questa filosofia, anche impegnandomi con importanti investimenti, quando entro nel magazzino della mia azienda, nel reparto fornitori, trovo, ahimè, decine di scatoloni Made in China. Purtroppo, oggi è praticamente impossibile costruire un prodotto elettronico senza rifornirsi da aziende cinesi, per la semplice ragione che tantissime componenti sono ormai realizzate esclusivamente lì.
 
Per dirla tutta, anche se acquistiamo memorie o microprocessori da fornitori americani o inglesi, scopriamo che ugualmente utilizzano aziende basate in Cina. Insomma, la verità è che in occidente abbiamo rapidamente smantellato tutti i gradini più bassi della filiera produttiva, regalando le chiavi delle nostre industrie, del nostro know-how e del nostro saper fare ad una nazione straniera, pensando solo ai facili guadagni.

Spesso, anche non curandoci di lasciare a casa da lavoro tante brave persone. Nella mia vita ho fatto tesoro di un insegnamento importante: sono le disgrazie e i problemi che ci insegnano a migliorarci, molto più dei momenti in cui tutte le cose vanno bene. Tutto questo per dire che mi piacerebbe pensare che il Coronavirus, oltre ad essere una sventura per il mondo intero, possa diventare un momento di riflessione per i nostri governanti sul fatto se sia ancora sostenibile l'attuale modello economico basato su una globalizzazione selvaggia, senza regole ed equilibri.
Oggi è bastata la diffusione, in una città cinese, di un aggressivo virus influenzale, per metterci tutti in grossa difficoltà. Domani potrebbe essere un terremoto, una guerra, una controversia territoriale o, perché no, un ricatto commerciale. 

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Io non sono completamente contrario alla globalizzazione, ma bisogna darle una veste diversa, in cui devono valere ancora i fondamentali e naturali concetti di comunità, nazione e, perché no, anche indipendenza. Forse sarebbe il caso di pensare a come tornare a rendere sostenibile una filiera produttiva più corta, più europea per gli europei, come più americana per gli stessi americani. Insomma, più sicura per tutti, dove si possa sviluppare un tessuto imprenditoriale nazionale in grado di avere almeno una relativa autosufficienza, che ribalti la tendenza alla deindustrializzazione riappropriandoci le conoscenze e le produzioni che abbiamo regalato. Tanto per portare un esempio, esattamente il contrario di quanto stiamo facendo oggi regalando il Porto di Trieste... ma la speranza, per noi imprenditori e cittadini, è sempre l'ultima a morire.

Bruno Vianello
*Presidente Texa - Tecnologie Elettroniche per l'Automotive

Ultimo aggiornamento: 15:41 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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