Chi pagava con una mattonella e chi gettava le posate nel fiume: i 30 anni in trattoria di Elda

Giovedì 3 Marzo 2022 di Denis De Mauro
Elda Piai

SACILE - Ne ha di cose da raccontare Elda Piai che con la gestione della Trattoria Bella Venezia ha attraversato 3 decenni di grandi cambiamenti che hanno mutato il volto anche di Sacile.

Quando prese in affitto il locale da Tallon della Mineraria sacilese era il dicembre del 1971, aveva 28 anni e arrivava da Ponte della Muda, da mestieri che l'avevano portata anche in Svizzera, e a 15 anni al biscottificio Doria. Iniziò l'impresa insieme al marito Bruno Armellin, scomparso nel 2009 a 71 anni. L'idea era di farne una pizzeria, ma dato che Bruno se la cavava bene dietro i fornelli, divenne una trattoria su tre piani: il bar all'entrata e poi sale diverse. A quel tempo via Mazzini era strada di botteghe, c'erano il lavasecco, il calzolaio, l'arrotino dalla Val Resia, il rivenditore di frutta e verdura e un lavasecco.

LA CLIENTELA
Elda racconta che i primi tempi era un po' in difficoltà con I siori di Sacile che, pur signori, non disdegnavano un pranzo o una cena in trattoria: «Ma andavano serviti come si trovassero nel più lussuoso dei ristoranti», racconta. Sul finire degli anni 70, quando Elda e Bruno avevano già acquistato il locale («Per 100 milioni o giù di li») la legge Basaglia portò all'apertura dei manicomi e tra i clienti cominciarono ad apparire personaggi particolari. E con molta dolcezza, Elda ricorda il matto che le pagava il caffè quotidiano con una piastrella. Dopo 3 giorni di pazienza gli disse Ma non portarmi più piastrelle. Il giorno dopo pagò con una tegola di tetto, un cop. Un'altra ex ospite del manicomio si recava alla Bella Venezia per il cappuccino quotidiano e, bevutolo, scappava portandosi via il cucchiaino.

I RAGAZZI DI LEVA
Qualche difficoltà con le posate Elda l'ebbe anche con i tanti ragazzi di leva che frequentavano la trattoria. In vista del congedo era loro abitudine buttarla in festa e dopo cena questo significava spesso anche buttare nella Livenza posate e piatti. Per recuperare forchette e coltelli Elda si era attrezzata con una canna da pesca che al posto dell'amo aveva una calamita. Per i piatti non c'era verso, doveva scendere in acqua con una barchetta. La vicinanza con il fiume si è fatta sentire spesso, anche in maniera drammatica, come quelle volte che la corrente le portava sotto la terrazza i disgraziati che, per scelta o per fatalità, trovavano la morte nelle sue acque. A lei e all'amico mugnaio Italo che stava sull'altra sponda è toccato più volte portare in secca quei poveri corpi.

A TAVOLA
Altri tempi, diversi pure nella preparazione del cibo da servire in tavola: Elda ricorda ancora con soddisfazione l'acquisto del frullatore che dopo anni di fatica le evitò di montare a mano una trentina di uova al giorno per la maionese. Il marito invece prendeva le comande a memoria, e già negli anni 70 si faceva fare un pane speciale: con la crusca, pagnotte su sua ricetta che ordinava dal fornaio Giuseppe Giust. Elda fu per qualche anno perfino addetta alle chiuse della cascata che oggi non c'è più. Quando andò in pensione, il custode delle turbine le insegnò a manovrare le paratie per regolare il rumore dell'acqua (talvolta fragoroso), affidandole il compito di governarla. Cosa che puntualmente fece fino alla chiusura del locale.
 

Ultimo aggiornamento: 4 Marzo, 10:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA
Potrebbe interessarti anche
caricamento

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci