Coppia di due donne: vietata la procreazione assistita, non è un diritto

Giovedì 24 Ottobre 2019 di Angela Pederiva
Coppia di due donne: vietata la procreazione assistita, non è un diritto
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No alla procreazione medicalmente assistita per le famiglie composte da due donne: la Corte Costituzionale l'aveva anticipato lo scorso 18 giugno, dichiarando non fondate le questioni di legittimità sollevate dai Tribunali di Pordenone e di Bolzano. Da ieri, con la pubblicazione della sentenza, se ne conoscono anche i motivi. Partendo dalla premessa che «l'infertilità fisiologica della coppia omosessuale (femminile) non è affatto omologabile all'infertilità (di tipo assoluto e irreversibile) della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive», la Consulta arriva ad affermare che «la tutela costituzionale della salute non può essere estesa fino a imporre la soddisfazione di qualsiasi aspirazione soggettiva o bisogno che una coppia (o anche un individuo) reputi essenziale», com'è appunto il desiderio di avere un figlio.
 
LE STORIE
Un solo rigetto, per due storie diverse. Quella friulana riguarda una 35enne e una 40enne che convivono dal 2012, hanno contratto unione civile nel 2017 e sono già mamme di due gemelli grazie al percorso di Pma intrapreso da una delle due in Spagna. Anche l'altra avrebbe voluto una gravidanza, restando però in Italia, ma la sua richiesta è stata respinta dall'azienda sanitaria 5 Friuli Occidentale. Di qui la causa, patrocinata dall'avvocato Maria Antonia Pili e sfociata nel giudizio di legittimità costituzionale promosso dal Tribunale di Pordenone, ravvisando la violazione del diritto fondamentale alla genitorialità, le disparità di trattamento basate sull'orientamento sessuale e sulle condizioni economiche, la mancata tutela della maternità.

Protagoniste della vicenda altoatesina sono invece due donne che si sono sposate in Danimarca nel 2014, con trascrizione dell'atto in Italia nel registro delle unioni civili. Una non può produrre ovuli a causa delle complicazioni seguite a trattamenti di inseminazione artificiale eseguiti in una clinica danese, mentre l'altra soffre di un'aritmia cardiaca per cui le è stato sconsigliato di avere gravidanze, ma l'azienda sanitaria provinciale di Bolzano ha rifiutato la loro richiesta. Anche qui è partito un procedimento giudiziario, patrocinato dall'avvocato Alexander Schuster e culminato nell'ordinanza con cui il Tribunale di Bolzano ha citato argomentazioni in parte analoghe a quelle di Pordenone, con l'aggiunta che in questo caso l'infertilità non è solo di coppia ma anche individuale.

LE MOTIVAZIONI
Nelle motivazioni della sentenza, la Corte riconosce che la materia tocca «temi eticamente sensibili», per cui spetterebbe «primariamente alla valutazione del legislatore» trovare «un ragionevole punto di equilibrio fra le contrapposte esigenze». Ancora una volta tocca però ai giudici «stabilire se il desiderio di avere un figlio tramite l'uso delle tecnologie meriti di essere soddisfatto sempre e comunque sia, o se sia invece giustificabile la previsione di specifiche condizioni di accesso alle pratiche considerate». 

La legge 40 del 2004 ammette la Pma «come rimedio alla sterilità o infertilità umana avente una causa patologica e non altrimenti rimovibile» e prevede «il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre», punendo le trasgressioni con una sanzione da 200.000 a 400.000 euro. In passato la Consulta era intervenuta ad allargare le maglie della normativa, ad esempio consentendo la fecondazione assistita alle coppie fertili ma portatrici di gravi malattie genetiche trasmissibili al nascituro. «Le questioni oggi in esame si collocano su un piano ben diverso», argomenta tuttavia la Corte, secondo cui l'apertura alle lesbiche determinerebbe «potenziali effetti di ricaduta sull'intera platea» gay e porrebbe «interrogativi particolarmente delicati quanto alla sorte delle coppie omosessuali maschili», richiedendo «che venga meno, almeno a certe condizioni, il divieto di maternità surrogata». E, al riguardo, il convincimento dei giudici costituzionali è ben diverso: «Di certo, non può considerarsi irrazionale e ingiustificata, in termini generali, la preoccupazione legislativa di garantire, a fronte delle nuove tecniche procreative, il rispetto delle condizioni ritenute migliori per lo sviluppo della personalità del nuovo nato». 

L'esperienza dimostra che chi può permetterselo, ottiene comunque all'estero quello che è vietato qui. Ma questa, secondo la Consulta, non è una ragione sufficiente: «La circostanza che esista una differenza tra la normativa italiana e le molteplici normative mondiali è un fatto che l'ordinamento non può tenere in considerazione. Diversamente opinando, la disciplina interna dovrebbe essere sempre allineata, per evitare una lesione del principio di eguaglianza, alla più permissiva tra le legislazioni estere che regolano la stessa materia».
Angela Pederiva
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