L'imprenditore Solza in Cina, continue proteste contro le restrizioni Covid: «Un'odissea il rientro in Italia»

"Gli stessi cinesi sono consapevoli che i loro vaccini hanno funzionato molto meno rispetto agli europei" racconta l'imprenditore

Martedì 29 Novembre 2022 di Mauro Rossato
Cina proteste contro restrizioni covid pordenonese Solza
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PORDENONE - Trentotto ore di viaggio e il passaggio tra diversi livelli di controllo. Questa la piccola odissea che ha coinvolto il pordenonese Giacomo Solza, cercando di fare ritorno in Friuli da Weihai, città da tre milioni di abitanti, nel Nord Est della Cina, quasi al confine con la Corea del Sud.

Una Cina che in questi giorni è alle prese con la recrudescenza delle misure restrittive anti Covid che ha prodotto rivolte nella parte Sud del paese.

LA SITUAZIONE

È la politica della “Tolleranza zero” al Covid che pare aver portato a un punto di saturazione la popolazione che è scesa in piazza. Abbiamo raccolto quindi la testimonianza dell’imprenditore che lavora in Cina da quasi un ventennio per capire meglio quella che è la situazione, ma anche qual è la filosofia che ispira le istituzioni cinesi, le uniche al mondo ancora così terrorizzate dal virus da mantenere restrizioni fortissime. Per capire, però la filosofia che muove il governo di Xi Jingping è utile ascoltare la testimonianza di chi, come Solza, nel paese orientale opera e lavora dai primi anni Duemila.

IL RACCONTO

L’imprenditore pordenonese è nel consiglio di amministrazione della Weihai Julia, società ora controllata da una multinazionale che si occupa di prodotti in fibra di carbonio per windsurf e canne da pesca. Nel 2004 ha delocalizzato la produzione dal Friuli a Weihai, vero polo mondiale per la produzione di quel genere di prodotti. L’iniziativa industriale cresce e si sviluppa ed è ancora in attività. Prima del lockdown viene ceduta a una multinazionale, ma Solza rimane supervisore e fa la spola tra Europa e Cina. «Nel gennaio 2020 mi stavo accingendo a tornare in Cina per il Capodanno – ricorda Solza – ma scoppia il Covid e quindi per un po’ non mi sono spostato ad Oriente. Qui in Italia abbiamo passato un anno tragico e io lo so bene, essendo stato colpito in prima persona negli affetti più cari. Ne siamo usciti perché, nonostante non siano tutti d’accordo, la sanità ha funzionato e anche la campagna vaccinale. In Cina, invece, hanno scelto la strada della chiusura totale. Bastava un caso e milioni di persone venivano isolate. La politica “zero Covid” ha in qualche modo bloccato i casi, ma anche il paese. E, fatto grave, gli stessi cinesi sono consapevoli che i loro vaccini hanno funzionato molto meno rispetto agli europei». La trafila per entrare nel paese non è per niente agevole. «Ci vogliono 12 giorni di quarantena, due tamponi negativi prima di partire e la certificazione di essere vaccinati – spiega Solza – la confusione aumenta anche grazie al fatto che ogni singola provincia della Cina può, e questa è praticamente la norma, inasprire le restrizioni del governo centrale». Questo condiziona sia la vita quotidiana che quella lavorativa. «Gli esempi sono molteplici: noi dobbiamo far fare la quarantena anche al materiale che arriva dal Giappone. Poco importa che il carbonio sia stoccato a -12 gradi… Tutta la popolazione viene sottoposta a tre tamponi settimanali e restano valide le norme che prescrivono l’uso della mascherina ovunque. Il Green Pass è collegato ad una applicazione telefonica. In caso di tampone negativo si ha un segnale verde. Ma nella malaugurata ipotesi che un positivo venga tracciato nel supermercato che avete frequentato quel giorno, il vostro segnale diventerà rosso e sarete costretti all’isolamento. Questa condizione è complicata e lo è ancora di più se si è stranieri perché ad esempio la spesa online si può fare con delle app rigorosamente scritte solo in cinese. Una nostra collaboratrice doveva rientrare a Pechino ed essendo in un’altra regione ha dovuto fare 20 giorni consecutivi di quarantena. Per questo scoppiano le rivolte».

LA PROSPETTIVA

Cosa sta succedendo e quali sono le prospettive? «Le autorità contano di arrivare ad una situazione normalizzata ed endemica per la prossima estate. Nel nord non ci sono state proteste, mentre nel sud la politica regionale è più restrittiva e la popolazione si è attivata anche se credo sia esagerato parlare di rivoluzione. Noi abbiamo avuto un lockdown di metà dei dipendenti per cinque giorni ed è stato quello più duro e la massima restrizione è stato il divieto di spostarsi tra diverse città. I contagi sono effettivamente riesplosi, soprattutto al sud e ovviamente navighiamo a vista. Fortunatamente sono riuscito a rientrare. Io a Shanghai ho dovuto parlare direttamente col comandante dell’aereo perché le app delle due regioni non si parlavano tra di loro». Tornerà in Cina? «Assolutamente si. Conto di farlo per il Capodanno Cinese».

Ultimo aggiornamento: 17:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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