Anche in Fvg la piaga del caporalato: sognano un lavoro ma spesso è una trappola

Pakistani, afghani e indiani sfruttati dai loro connazionali. I “capi” decidono turni e salari: bustapaga quasi sempre fittizia

Lunedì 12 Giugno 2023 di Cristina Antonutti
Anche in Fvg la piaga del caporalato: sognano un lavoro ma spesso è una trappola

Sognano di riscattarsi da una vita di miserie, ma la maggior parte finisce nelle trappole tese dai caporali che forniscono braccianti alle aziende agricole. Nemmeno il Friuli Venezia Giulia sfugge a questo fenomeno che si radica soprattutto nei vigneti, compresi quelli di uva glera, quella che in etichetta diventa Prosecco. La maggior parte degli avventizi delle viti provengono da Pakistan, Afghanistan, India, Bangladesh e i loro nomi ricorrono nei verbali della Guardia di finanza di Pordenone quando perlustra le campagne con i droni per individuare i lavoratori irregolari. Ai caporali si rivolgono perché nei loro Paesi è così che funziona il mondo del lavoro.

Ma anche perché arrivano senza conoscere una parola di italiano e si fidano ciecamente di chi parla la loro lingua, offre un alloggio e un lavoro. E anche se quel lavoro rappresenta una trappola, difficilmente si ribellano: per loro è la normalità ed è più importante inviare 50/100 euro alle famiglie in Pakistan piuttosto che affrancarsi dai caporali-sfruttatori.


LAVORO GRIGIO
La maggior parte degli immigrati impiegati nell’agricoltura non sono a “nero”. Si chiama “lavoro grigio”. Il caporale li ingaggia per un mese, 8/9 ore al giorno e poi rilascia una busta paga fittizia in cui figura una settimana. Paga 5/6 euro netti l’ora e fa in modo che tra il netto in busta e quello che paga extra si arrivi a una cifra equa. In realtà il contratto dell’avventizio prevede circa 12 euro lordi. Le conseguenze? Evasione contributiva e fiscale, oltre all’impossibilità di recuperare quanto dovuto a Inps e Fisco, perché le società durano lo spazio di due o tre anni al massimo, muoiono quando cominciano ad arrivare le cartelle esattoriali e il caporale se ne torna in Pakistan per condurre una vita più che dignitosa con quanto ha guadagnato sulle fatiche dei braccianti. 


LA DISOCCUPAZIONE
A fotografare il fenomeno, emerso con la sanatoria del 2020, sono anche i sindacati. Dina Sovran, segretaria provinciale della Flai Cgil, conosce molto bene le sofferenze e le difficoltà di questi lavoratori. «Il fatto che non li paghino tutti i giorni - spiega - significa che poi non possono accedere alla disoccupazione agricola. Devono avere 102 giornate di lavoro nel biennio, almeno 51 l’anno, altrimenti non hanno diritto agli aiuti. Alcuni ci hanno raccontato che il caporale, dichiarando il numero minino di giorni lavorativi necessari per la disoccupazione, permetteva loro di accedere alle liste, ma poi era lui a incassare».


LE FATICHE
Qual è il tenore di vita di questi immigrati mal pagati e sfruttati? «Mentre noi abbiamo tremila esigenze - spiega Dina Sovran -, a loro basta un telefonino, che è l’unico contatto con la famiglia. È crudele dire “ma hanno pur il telefono”... alcuni hanno bambini piccoli che non vedono da anni perché sono bloccati in Italia, li vedono soltanto in videochiamata. Ci sono immigrati bloccati in Italia da quando c’è stata la pandemia perché devono mandare soldi a casa per pagare il viaggio alla rete che permette loro di arrivare in Italia, cioè i passeur. Mandare anche 50 euro al mese vuol dire far vivere bene la famiglia». Quando lavorano, riescono a percepire circa mille euro al mese, ma una parte va al caporale perché devono contribuire per il vitto e l’alloggio. Sistemati in camerate o appartamenti, fanno la spesa collettiva per risparmiare. Cucinano chapati, il pane tipico indiano, riso, carne e verdure che poi consumano seduti al bordo di campi e vigneti.


GLI ALLOGGI
Quasi nessuno ha una casa. Fanno fatica a trovare un alloggio e a ottenere una residenza nonostante siano in Italia da anni. Spesso il primo approdo è al Sud, dove magari risultato anche risiedere, oppure a Treviso, Trento o Mantova. In Friuli hanno un domicilio soltanto se riescono a trovare un appartamento in affitto per la stagione. Quella di indiani e pakistani è una stagione legata ai cicli della vite, un lavoro continuo che comincia nei mesi più freddi fino alla vendemmia e al taglio dei tralci. I contratti dovrebbero essere annuali, da gennaio a dicembre. In realtà lavorano a chiamata, cioè quando il loro sfruttatore li contatta. Ma è per tutti così? «I romeni - spiega la sindacalista della Flai Cgil - non sono così sfruttati perché vengono assunti dagli italiani». I pakistani vengono invece portati dal loro “capo” e si possono vedere mentre lavorano nei vigneti della Bassa Pordenonese, soprattutto al confine con le province di Treviso e Venezia.

Ultimo aggiornamento: 17:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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