Si innamora del collega, poi lo lascia e lui la perseguita in ufficio

Martedì 4 Febbraio 2020
Si innamora del collega, poi lo lascia e lui la perseguita in ufficio
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BELLUNO - L’ombra di quel collega-stalker negli uffici dell’Inail di Belluno era ovunque: dietro ai vetri, nei continui messaggi del sistema interno che arrivavano ininterrottamente. Tutto era iniziato come una delle tante relazioni sentimentali, che nascono tra colleghi sul luogo di lavoro, ma poi si era trasformato in un vero e proprio incubo per la donna: sarebbe stata perseguitata e minacciata. Tanto che il capo della struttura di viale Giuseppe Fantuzzi, la spostò in un’altra area e “vietò” all’uomo di scendere al piano dove lei lavorava.

La vicenda si sta ricostruendo in Tribunale a Belluno nel processo che vede alla sbarra A.A., 58enne nato in Usa, accusato di atti persecutori, e parte civile un’impiegata Inail 46enne difesa dall’avvocato Cristiana Riccitiello. I fatti sotto accusa sono gli episodi avvenuti tra ufficio Inail e esterno, dal luglio 2015 e 19 maggio 2018. L’uomo avrebbe ripetutamente strattonato, percosso, aggredito verbalmente la donna, con cui aveva avuto una breve relazione sentimentale, che però lei aveva troncato. E proprio per convincerla a ripristinare il rapporto amoroso l’avrebbe perseguitata e minacciata anche di morte con le frasi: «Ti spacco la testa, ti faccio un buco in fronte».

Ieri in aula i colleghi della donna hanno risposto alle domande del pm Sandra Rossi, raccontando il clima di terrore in cui viveva l’impiegata. «Il 2017 - ha raccontato la sua capoufficio - è stato anno di formazione, perché lei veniva da un altro settore. Quando le ero accanto vedevo che arrivavano di continuo messaggi di lui tramite “Lynch”, il sistema di comunicazione rapida che abbiamo in ufficio. Spessissimo lei sbuffava e mi ha confidato spesso che lui la minacciava». C’era stato un periodo in cui entrambi erano nello stesso settore, al piano superiore, poi lei è stata spostata di sotto, ma andavano comunque a pranzo e a bere il caffè insieme. «Lui - ha proseguito la collega - non avrebbe più dovuto entrare nell’area dove lavoravamo come gli era stato ordinato dal capo, ma attraverso la porta a vetro, si vedeva nella zona limitrofa, nei corridoi». Tutti poi hanno raccontato quella mattina del 21 marzo 2018 quando l’uomo scese e andò su tutte le furie. «Quando ti chiamo devi rispondermi», le avrebbe detto. E lei: «Non mettermi le mani addosso». Ma nessuno ha visto la scena, perché i mobili coprivano la postazione, ma i colleghi intervennero prontamente. Si torna in aula il 2 marzo.
Ultimo aggiornamento: 08:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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