SEDICO - Potrebbe sciogliere la riserva già oggi, il giudice, riguardo al delicato caso di Davide Bristot. L’attesa è alta e il timore dei genitori del 18enne di Sedico morto a casa sua la notte tra il 13 e il 14 luglio 2021 dopo essere stato visitato dal Pronto Soccorso di Belluno, è che la vicenda possa essere archiviata una volta per tutte.
GLI SCENARI
Gli scenari che si prospettano sono tre: il gup potrebbe archiviare il caso, riaprirlo e predisporre nuove indagini, oppure formulare lui stesso un’imputazione. Leggendo le conclusioni della perizia medico-legale disposta dalla Procura sembra quasi impossibile che un caso del genere possa essere archiviato: «La prestazione del medico che l’ha visitato in Pronto Soccorso risulta di fatto priva di una diagnosi, ed ancor prima, dell’attestazione di un corretto, scrupoloso e completo iter metodologico per addivenire alla diagnosi». Eppure, in casi di malasanità, tutto è appeso a un filo. In una lettera di qualche mese fa i genitori di Davide avevano espresso il loro dolore riguardo a quanto accaduto: «Vogliamo e pretendiamo di sapere la verità, perché non è giusto morire in questo modo». Qui, però, non c’è solo il dolore di una famiglia. C’è una condotta, quella del medico del Pronto Soccorso, che la pubblica accusa ha definito di «colpa grave per imprudenza e negligenza».
IL PASSAGGIO
È uno dei passaggi fondamentali della perizia redatta dal medico legale Antonello Cirnelli. In un altro punto si legge che è «cognizione elementare per qualsiasi esercente la professione sanitaria il fatto che un’alterazione dei parametri idroelettrolitici può causare il decesso per aritmia improvvisa». Il campione di sangue, prelevato al ragazzo quel giorno dall’infermiera del Pronto soccorso, non è mai stato esaminato. «Ci è stato detto – avevano raccontato i genitori di Davide – che l’esame del sangue avrebbe consentito la semplice verifica dei valori mancanti (sodio, potassio, magnesio). Davide era un ragazzo giovane, sano, in forma. Una visita più accurata e, appunto, un semplice esame del sangue avrebbero potuto agevolmente suggerire la corretta diagnosi, anche in relazione agli altri evidenti sintomi che provava, come il mal di testa e il vomito. A quel punto, una semplice somministrazione delle sostanze carenti gli avrebbe potuto salvare la vita».
LA VICENDA
Il ragazzo è entrato in ospedale che non si reggeva in piedi ed è stato dimesso che barcollava, tanto da aver bisogno di qualcuno che lo aiutasse a camminare. Si poteva fare di più? Secondo la perizia sì: «Il medico non ha identificato il problema ed i rischi ad esso connesso; nel contempo, nulla ha operato, in modo completo e risolutivo, perché ciò avvenisse. Il medico ha omesso di verificare la condizione ematochimica del ragazzo demandando poi ad altri l’esecuzione di ulteriori controlli (visita neurologica) senza avanzare, dal canto suo, la benché minima diagnostica». All’apparenza, insomma, sembra tutto chiaro. Ma l’ultima parola spetta al giudice. Di certo, come avevano sottolineato i genitori del ragazzo «resta la sola certezza che, da quella sera, il sorriso di Davide non lo abbiamo visto più...».