BELLUNO - Dalla spiaggia di Palermo alle vette delle Dolomiti per sfuggire alla vendetta interna della Piovra. Era a Cibiana di Cadore in «esilio forzato dalla borgata di Sferracavallo» il 47enne Matteo Pandolfo, arrestato dai carabinieri all’alba di mercoledì nell’ambito della maxi-inchiesta condotta dalla Direzione distrettuale antimafia, sotto il coordinamento del procuratore Maurizio De Lucia e dell’aggiunto Marzia Sabella. Dall’ordinanza del giudice per le indagini preliminari Fabio Pilato, che oggi lo sottoporrà all’interrogatorio di garanzia in videocollegamento con il carcere di Belluno, emerge infatti che il siciliano era stato estromesso dall’esazione del pizzo per uno sgarbo alla cosca e minacciato di gravi conseguenze fisiche dal suo successore, finendo così per trovare riparo (e lavoro come manovale) a 1.500 chilometri di distanza.
Il ruolo
Pandolfo è accusato di aver costretto Abderraouf Nabli, titolare del ristorante “Ai sapori del Golfo”, al pagamento di 100 quale corrispettivo periodico del servizio di vigilanza mafiosa contro furti e danneggiamenti. L’uomo si presentava «quale emissario di Cosa nostra», annota il gip Pilato, ma «non aveva ricevuto una formale investitura che lo legittimasse in quel ruolo». Secondo la ricostruzione della Dda, condivisa in questa fase cautelare dal Tribunale, la sua attività era stata autorizzata da tale “Giovanni u luongu”, padre di un detenuto che, stando a un’intercettazione, lo avrebbe introdotto così: «Oh, questo è il pane di mio figlio che è andato a finire in galera». Per tale ragione, la sua presenza «era stata in qualche modo temporaneamente tollerata dalla cosca mafiosa». Perlomeno fino alla tangente del 2 agosto 2021, ripresa dalle telecamere del locale e ora contestata a Pandolfo, in quanto «può indubbiamente ritenersi sussistente un grave compendio indiziario in ordine al delitto di estorsione».
La cacciata
Nei giorni successivi i carabinieri hanno potuto accertare la «completa e definitiva cacciata» di Pandolfo da parte del suo sostituto, «sicuramente ordinata da soggetti a quest’ultimo sovraordinati, come confidato dallo stesso Gennaro ad una sua intima amica (“Mi hanno chiamato ieri... è indesiderato”)» e al diretto interessato: «Ascoltami... quello che mi hanno detto io te lo riferisco... tu non sei gradito a Sferracavallo! Te ne devi andare da qua!». Il 6 dicembre 2021 il captatore informatico installato nel telefonino di Gennaro ha consentito di intercettare un altro suo sfogo con l’amica, dal quale si è capito che lo stesso nuovo addetto al pizzo era stato incaricato dai vertici della cosca di punire il suo predecessore: «Ci vogliono rompere le gambe a Matteo!». E ancora: «Là lo devo lasciare a terra! Ti giuro sull’anima di mia madre. Là lo lascio. Un colpo di mazza nelle gambe e lo lascio a terra». E poi, a scanso di equivoci: «Siamo tutti d’accordo! Tutti! Figurati che pure suo cognato non gli interessa niente, la deve pagare!». Ma cosa aveva fatto il 47enne per scatenare la rabbia della famiglia mafiosa di Partanna Mondello, ricompresa nel mandamento di San Lorenzo-Tommaso Natale? Dalla conversazione risulta che Pandolfo si sarebbe appropriato del denaro destinato a un sodale recluso, tale “Vicè” e cioè «con ragionevole certezza» Vincenzo Billeci: «È andato a raccogliere i soldi per Vicè... ma chi è che lo ha autorizzato?!». L’uomo avrebbe riscosso 600 euro, dopodiché se ne sarebbe intascati 100: «I soldi del carcerato si è fottuto!». A quel punto la sua punizione è stata ritenuta «del tutto ineluttabile», chiosa il gip Pilato, basandosi sul racconto di Gennaro: «Gli ho detto... a posto... Lui si è messo contro di me?... Me la sbrigo io solo, non deve venire nessuno!... Tu lo vuoi nella sedia a rotelle? E io te lo metto nella sedia a rotelle!... Basta, tu entro mercoledì sarai servito!». Ma a quanto pare Pandolfo è riuscito a scappare in Veneto, almeno finché è stato catturato dai carabinieri.