Zumelle, il castello delle fiabe e dei gemelli: l'origine nella leggenda, poi arrivarono i veneziani

Venerdì 8 Ottobre 2021 di Pieralvise Zorzi
Castello di Zumelle

Aggirarsi per il verde della provincia di Belluno riserva sempre belle sorprese. Scusate lo slogan involontario ma è vero: ottimo vino, salumi, formaggi ma anche borghi e città storiche, ville, castelli. Ecco: andando verso Feltre, si vede sulla sinistra, arroccato su una erta collina che domina la valle del torrente Terche, un piccolo castello con un'alta torre che emerge dai verdi boschi svettando sopra la cinta muraria. 
Zumelle: da lontano sembra il castello delle fiabe, mancano solo le bionde chiome di Raperonzolo che penzolano o lady Marian che aspetta di essere liberata da Robin Hood.

Fiabesche sono difatti le sue origini: si dice che Genserico, uomo fidato della regina gota Amalasunta, figlia di re Teodorico a cui successe sul trono, vi si riparasse con l'ancella Eudosia dopo che la regina fu strangolata nel bagno. I due erano scappati nella Valbelluna e nella antica fortezza evidentemente si trovano benone visto che dopo un po' Eudosia partorisce due gemelli. Ecco il nome: Castrum Zumellarum, il castello dei gemelli, che difatti coronano il moderno stemma di Mel. 


POESIA E REALTÀ

Meno romantica la realtà: i due zemeli o zumeli erano il castello stesso e il suo gemello sull'altra riva del Terche, Castelvint, ora scomparso. Probabilmente esistevano già nel 46-47 dopo Cristo, a controllare la Via Claudia Augusta Altinate ma le prime notizie scritte sono del 963, quando Ottone I cede castello e feudo al vescovo conte di Belluno, che li tiene fino al 1037. Da allora attraverso un intreccio di matrimoni tra le famiglie nobili più importanti dell'alta Marca Trevigiana, il castello finisce nelle capaci mani di Guecellone II Da Camino. Inizia il periodo delle lotte tra i grandi feudatari della Marca Trevigiana, che termina quando Belluno si dà a Venezia. 


ARRIVANO I VENEZIANI

Nel 1420 escono di scena i Da Camino e arrivano i nuovi feudatari veneziani col titolo di conti di Zumelle. Hanno un cognome a me molto familiare. Zorzi. 
Gli Zorzi avevano grande esperienza. Avevano retto Curzola per 230 anni col titolo di conte, concesso nel 1128 e riconosciuto dalla Serenissima nel 1256 nella persona di Marsilio, comes perpetuus. Senonché nel 1358 Curzola finisce nelle mani di Ludovico I re di Ungheria e gli Zorzi si ritrovano disoccupati. Per compensarli la Repubblica li spedisce nelle verdi Prealpi bellunesi, ad assumere il contado di Zumelle. Una bella cittadina fortificata, diciannove ville e il castello. Unici obblighi, pagare due torce all'anno alla chiesa di San Marco, ciascuna del peso di 19 libbre, tenere un vicario, amministrare giustizia e tenere quattro stipendiati nel castello. Gli Zorzi prendono il proprio compito molto seriamente. Così come nel 1214 a Curzola, Marsilio si era fortemente impegnato nella compilazione degli Statuti, il conte di Zumelle Alvise Zorzi, figlio di Piero, il 29 gennaio 1596 prende le parti degli Zumellesi in Consiglio dei Dieci, in una lite contro i Bellunesi. Vince la causa e a Mel si fa festa per tre giorni. I conti veneziani non abitavano il castello: molto più comodo il palazzo in stile veneziano, oggi municipio, dove nel salone ci sono due bei ritratti cinquecenteschi: il conte Costantino Zorzi e sua madre Cornelia.


L'IMPRESA

Di solito Venezia inviava rettori, con diversi titoli: podestà nei centri maggiori, conte dove già esisteva il titolo, nelle città dalmate e a Pola, provveditore nelle piazzeforti importanti, castellano nelle fortezze, luogotenente a Cipro e in Friuli. Nella logica di Venezia, insomma, i rettori erano l'equivalente dei direttori delle sedi e delle filiali esterne. Un compito delicato, perché si doveva mediare tra gli interessi di Venezia e quelli dei sudditi. Problema che hanno anche gli Zorzi di Zumelle, che invece sono conti veri e propri. Se la cavano molto bene, visto che restano al loro posto, l'uno dopo l'altro, per tre secoli. È solo nel 1720 che Giovanni II Corner, il doge del busto appena tornato a Venezia, trasmette il feudo ai Gritti. Che non possono battere il record perché 77 anni dopo Venezia cade nelle rapaci mani di Bonaparte.
Il castello cade nell'oblio, finché nel 2014 viene affidato ad una associazione che lo riapre al pubblico come parco tematico. 


LA RISCOPERTA

Dimenticati i conti veneziani, la scenografia è una via di mezzo tra la Hogwarts di Harry Potter e un set di cappa e spada con sequenza di botteghe artigiane ricostruite con attrezzi, cuoi e stoffe e rami e ferri, accoglie il visitatore che può esplorare i sotterranei per farsi un'idea del maniero che fu. Al piano di sopra è allestito un ristorante, mentre ancora più su un vasto salone ospita uno spazio didattico che ricorda l'opera dei monaci, dei notai e degli artisti. Nella Torre, strumento di estrema difesa, è ambientata perfettamente la soave leggenda di Murcimiro ed Atleta, piena di nomi longobardi come Adelardo, Ermenfredo, Tucherio, Orleo, Orso, Azzone, Astolfo, un imprevedibile Bellerofonte e un venetissimo Giovannino, che alla fine defunge in duello con un altro longobardo, Ziergen Filistin (filisteo?). L'intreccio è così complicato che occorrerebbero fiumi di inchiostro per narrarlo. Lascio al lettore la sorpresa e il piacere di visitare il castello e il borgo di Mel, anzi, tutta la Valbelluna: se noi Zorzi ci siamo restati con piacere per trecento anni una ragione ci sarà pur stata.

 

Ultimo aggiornamento: 20:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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