Siamo in emergenza, non c'è dubbio, ma qualcosa non funziona a dovere. Comprensibile, di fronte alla pandemia, ma in certi frangenti non giustificabile. La storia di Rita, 57 anni - il nome è di fantasia - è emblematica. Sabato 7 novembre viene investita all'uscita del mercato coperto, in via Don Minzoni a Latina. Cade a terra, viene chiamata l'ambulanza, il 118 decide che il trasporto avvenga verso la clinica Città di Aprilia.
A quel punto il medico suggerisce di andare in ospedale. Niente Goretti perché è ormai ospedale Covid, i familiari scelgono di portarla all'Icot ma dal referto delle lastre in ospedale dicono al triage che se c'è pneumotorace lì non c'è un trattamento adeguato. Il marito della signora contatta il 118, il medico cerca una soluzione, potrebbe andare a Terracina o Aprilia ma nulla: nessuno che possa trattare il possibile pneumotorace. «Mi hanno detto che al limite c'era il San Camillo» - racconta l'uomo. Che decide di aspettare una visita al pronto soccorso dell'Icot. La moglie viene sottoposta a una nuova radiografia, emerge anche una frattura alla mano che viene steccata, le costole sono rotte ma il rischio per i polmoni non sembra evidente. «Mi hanno detto che sarei dovuto tornare in ospedale se avesse avuto problemi respiratori, ma allora qualcosa c'è o non? E soprattutto, in quale ospedale?» Già...
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