Masi (Società Dante Alighieri): «Sì alla lingua italiana in Costituzione. E il mondo vuole poterla imparare»

Il segretario della Dante Alighieri: «La richiesta è tanta, mancano i prof»

Venerdì 23 Dicembre 2022 di Federico Guiglia
Masi (Società Dante Alighieri): «Sì alla lingua italiana in Costituzione. E il mondo vuole poterla imparare»

Da più di vent’anni Alessandro Masi è il segretario generale di un’istituzione con oltre un secolo di vita e di storia, la Società Dante Alighieri.

Il suo è un compito in cammino: diffondere la lingua italiana nel mondo.

Quanto può aiutare, allora, nella missione di identità culturale, la prospettiva che nella Costituzione si scriva ciò che manca, ossia che l’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica? 
«Questo è un momento straordinario e alcune scelte possono contribuire ad aprire una nuova pagina linguistica – esordisce Masi –. Non riusciamo a coprire le richieste all’estero per l’italiano, che si moltiplicano nelle aree tradizionali del Mediterraneo e dell’America latina, così come in luoghi come Hong-Kong, Kuwait o San Pietroburgo. Dove per molti l’italiano rappresenta un modo per condividere il nostro antico e adorato patrimonio universale. Noi stessi abbiamo deciso che il Congresso del 2023 lo faremo fra Rosario, in Argentina, e Roma. Il congresso dei due mondi». 

Eppure, in Europa siamo l’unico Paese di lingua neo-latina che non fa un riferimento alla propria lingua nella Costituzione. Questa assenza quanto incide su chi, come la Dante, crede nell’italiano nel mondo?
«Grazie a Dio l’italiano è una lingua amatissima che si spinge da sola, si autogenera. A livello istituzionale c’è invece molto da riflettere. I francesi godono di ben altro appoggio dallo Stato per divulgare la loro lingua. Penso che l’inserimento dell’italiano nella Costituzione non debba essere visto come un fatto formale, ma come espressione dell’interesse della Repubblica per una politica linguistica. Apriamo un capitolo nuovo. Non è nazionalismo. Dobbiamo avere un approccio rinascimentale per la lingua al centro della persona e dell’universo. L’amore per l’italiano». 

L’insegnamento dell’italiano agli stranieri che vivono in Italia è decisivo per la loro integrazione. Attestare nella Costituzione che la lingua che stanno studiando è quella della loro Patria nuova, o comunque Paese di lavoro e residenza, è un incoraggiamento per impararla, o no?
«Certo. È un importante riferimento logico. Noi siamo testimoni del rapporto meraviglioso che si crea fra chi non è italiano e la lingua italiana. Stiamo chiamando tutti gli scrittori stranieri di lingua italiana. Scrittori fuggiti dall’Afghanistan che scrivono in italiano. Cito il caso, notissimo, di Jhumpa Lahiri, scrittrice statunitense di origine indiana appassionata di Dante e che ha pubblicato libri nella nostra lingua. Oppure Edith Bruck, ungherese d’origine che scrive in italiano. Abbiamo una banca dati con 700 nomi». 

Com’è cambiata, negli anni, la percezione degli altri nei confronti della lingua italiana?
«È il richiamo per la bellezza, per il sogno, per il vivere bene. L’italiano affascina oltre ogni confine. Il nostro più lontano comitato si trova a Ushuaia, nella Terra del Fuoco, proprio alla fine del mondo. Ma le richieste per avere italiano ci arrivano pure dalla Mongolia o dalla Cina, dove la passione per l’opera, per Verdi e Puccini è inimmaginabile. O dalla vicina Tirana, con tanto di scuola, o a Pola col bilinguismo. Sono in trattativa anche con Odessa. Ovunque c’è voglia di italiano». 

Il punto forte è la richiesta. E quello debole?
«Non si investe più nella formazione dei professori all’estero. Noi avevamo indetto un corso di formazione, ma siamo stati costretti a chiudere la piattaforma, perché non reggeva: 1.200 iscritti quasi subito. Presto tornerò in Brasile, dove 80 scuole hanno un interesse per la nostra lingua. Ma non si trovano più i docenti». 

La svolta arriverà dalle scuole e dai centri linguistici italiani all’estero?
«La scuola è la grande sfida su cui puntare, come ricorda sempre il nostro presidente, Andrea Riccardi. Ma spesso sono scuole italiane “orfane”, cioè non hanno un padre istituzionale che le sostenga. Oggi l’insegnamento dell’italiano si salva se si certifica con parametri europei. L’epoca dei corsi improvvisati nel sottoscala non esiste più. Ecco perché è così importante un segnale dall’alto». 

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Ultimo aggiornamento: 06:53 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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