Sta per arrivare al termine del suo viaggio, la Fashion Week a Milano, con un bagaglio ricco di quasi cento sfilate, presentazioni, incontri, dibattiti: un universo che presenta un codice di lettura ben identificabile: anarchia, libertà di indossare ciò che si vuole, come si vuole, di tutto e di più senza ponte di comando, senza linee tracciate, senza capo né coda. Impossibile dire che la moda per la prossima primavera-estate non sia bella. Ho visto cose bellissime e importanti, idee geniali e trovate inedite, per un’eleganza nuova, diversa da quella che nel Novecento ci era stata insegnata con codici ben definiti. Ma lo stupore per un “modo” così precario… c’è. Libera da ogni suggestione imposta, da codici prefissati, da linee stabilite , dal rischio della globalizzazione che comunque avanza minacciosa nella moda per il prossimo 2018, si è affacciata all’improvviso, con la sicurezza che la distingue, Raffaella Curiel, che nell’atelier in via Montenapoleone, (che la nuova proprietà cinese ha voluto come sede per la griffe acquistata) ha proposto - con la violenza comunicativa che trasferisce anche ai suoi vestiti, una capsule di 28 abiti da red carpet. E se di lusso vogliamo parlare, fino a questo momento nel contesto che oggi la moda esige, Curiel ha superato ogni previsione offrendo con la “Via di Shanghai” – come vuole il titolo della capsule –un inno alla più grande sartorialità. L’abito da red carpet (red, red carpet!) , nelle interpretazioni magistrali dei 28 abiti proposti diventa una forma di comunicazione poetica : una… canzone per la musica della moda.
Polemica, provocatoria, abilissima, sicura del suo talento , Curiel (reduce anche dal successo riscosso ad Asolo con la mostra “New Ingrid style” di Rina Dal Canton per l’Associazione Culturale Paolo Rizzi) , ha pensato a un red carpet internazionale, dove etnie e tradizioni si fondono per dar vita alla bellezza che sfila ora con un abito totalmente ricamato e impreziosito da merletti di Bruges, ora con il nero lungo sul quale sono ricamate nei colori veraci le finestre del Duomo, l’abito interamente drappeggiato di georgette celeste cielo o ancora il vestito in velluto chiffon devorè con cappa preziosa. Qualcosa di lungo o qualcosa di corto come il bellissimo tailleur di broccato (pezzo d’obbligo della Curiel da sempre): sono 28 abiti che diventano 28 quadri da esposizione , una capsule aristocratica che si conclude con il più suntuoso abito da sposa: bianco di quattro bianchi per 36 metri di tulle, delicato, importante, superbo nei tagli magistrali che accarezzano la silhouette esaltando gli spicchi sbiechi .
“Sulla via di Shanghai “ 2018, di Raffaella Curiel, è una sfilata che si traduce in un “libro” di eleganza che sfiora con mano silenziosa molti momenti della storia della bellezza: dall’era di Boldini alla crinolina della giovane Traviata, fino al piccolo abito di sapore rock che per Curiel rappresenta un vestito di culto da rispettare stilisticamente quanto un “delphos “ di Fortuny.
Ultimo aggiornamento: 02:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA
MODI E MODA di
Luciana Boccardi