Seconda metà del Novecento: eravamo in piena ondata positiva per l’alta moda italiana che a Roma aveva il suo clou con le sfilate degli stilisti-sarti (perchè Alta Moda significa ciò che viene prodotto in atelie, a mano ( “possibilmente” in un unico esemplare), insomma il contrario del pret.-à-porter. Il Veneto era assente dall’agone che comprendeva grandi sarti di ogni regione italiana, nomi che non possiamo dimenticare, dal mitico Capucci a Fusto Sarli, da Balestra (stilista triestino prestato alla capitale dai primi di attività) , a Valentino (che allora sfilava in Piazza Mignanelli), Raffaella Curiel, Michele Miglionico, e l’elenco era nutrito: tutti i nomi della moda importante che si alternavano sulle passerelle allestite nei grandi alberghi (primo fra tutti il Grand Hotel) o in palazzi e location scoperte per l’occasione dai cercatori di spazi che si proponevano ogni anno più forniti di proposte fantasiose.
Le giornate dell’alta moda a Roma, iniziate nei lontani anni Cinquanta , costituivano per la moda italiana un momento esaltante perchè allora, ancora giovane la manifestazione inventata a Firenze per il pret-à -porter, con Pitti e la Sala Bianca , la sartoria italiana contava nomi prestigiosi che nel mondo raccontavano la leggenda di Biki, Gattinoni, le Sorelle Fontana, la Centinaro, Albertina, Jole Veneziani.
Su questo universo elitario, pieno di offerte di spazi da esplorare anche per stilisti emergenti, si affacciò un giorno a Roma una giovane bella signora veneta, forte di una sicurezza che le veniva dal una buona conoscenza del mestiere, ma soprattuttto da una volontà di ferro decisa a sostenere i voli di uno spirito modaiolo pieno di possibilità. Decisa ad affrancarsi da una presenza solo provinciale , accompagnata da un pi-erre gentile, Salvo Esposito, che allora faceva il buono e il cattivo tempo a Roma, presentata come qualcosa che arrivava da...lassù, dal Nord sempre guardato con sospettoso timore, Rosy Garbo si impose senza mezze misure, portando in passerella in una delle sue stagioni più felici, niente meno che il mantello che Giotto volle per il Cristo nella Cappella degli Scrovegni di Padova, una confrma della sua coscienza identitaria che le aveva suggerito di esportare frammenti di cultura con una interpretazione che lasciò il pubblico basito. Ricordo gli applausi che Rosy Garbo, sotto una frangetta che nascondeva eventuali esploits di ego giustificati, sembrava accogliere con semplicità, disinvolta e consapevole come omaggio al merito.
Nota soprattutto per gli abiti da sposa che sono diventati un suo must, la Garbo conserva la sua boutique nel centro di Padova e continua il suo lavoro di stilista-sarta nell’atelier in Polesine dove abita con la famiglia. Il maggiore dei suoi figli è un famoso promotore di eventi ad alta gamma (non solo moda) a New York dove vive. Recentemente Rosy Garbo ha fatto molto parlare di sé anche come stilista di fiducia della Presidente della Camera , la padovana Casellati che la considera da sempre un’amica. L’ultimo evento proposto in ordine di tempo, circa un mese fa , è stata la sfilata spettacolare - la prima dopo la lunga pausa di lockdown . presentata in un luogo d’arte, la Corte Benedettina di Corezzola, nei dintorni di Padova.
Tenace, simpatica, cordiale, manager di razza, oltre che sarta di bella eleganza, Rosy Garbo ha dato così’ un segnale di ripresa della vita di sempre, mandando in passerella anche il doppio di quell’opera rinascimentale custodita agli Scrovegni di Padova, quel famoso manto di Giotto che riproduce i colori e il guizzo sublime dell’artista.
Ultimo aggiornamento: 01:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA
Profilo Abbonamenti Interessi e notifiche Newsletter Utilità Contattaci
Logout