«Sono malata e mi hanno strappato via mia figlia subito dopo la nascita. Disposta a tutto per rivederla»

Giovedì 13 Gennaio 2022 di Egle Priolo
«Sono malata e mi hanno strappato via mia figlia subito dopo la nascita. Disposta a tutto per rivederla»

PERUGIA - «Me l'hanno strappata dalle braccia a 15 giorni di vita.

Sono passati un mese e una settimana e io di mia figlia non ho notizie. Non so dove sia, come stia. E sono disposta a tutto per riaverla con me».

Paola (nome di fantasia in una storia duramente reale) è una giovane mamma, con «l'unica colpa», dice, di essere in cura al Centro di salute mentale per una “sindrome da psicosi acuta polimorfa con sintomi schizofrenici”. Una patologia seria «che non mi ha mai portato a essere violenta o pericolosa – spiega al Messaggero -. Eppure mi hanno portato via la bambina. E io non so neanche come sta».
Paola si confida al telefono, parla schietta e non si nasconde. “L'eloquio lento” di cui parla la sua cartella clinica è probabilmente superato dalla sua rabbia. Lucida e disperata, ma tanta rabbia. La sua bambina è venuta al mondo poco dopo metà novembre e ai primi di dicembre il trillo del citofono ha messo fine, per ora, al rapporto mamma-figlia che stava nascendo. «Sono seguita dagli psichiatri del Centro di salute mentale – ricorda – dal 2016. Da allora sono stata ricoverata due volte, ma per mia scelta. Ho chiesto aiuto e mi sono fatta ricoverare. Poi quasi un anno fa sono rimasta incinta, il mio medico mi ha fatto interrompere la terapia e ho portato a termine la gravidanza. Ma per quella diagnosi e la segnalazione ai servizi sociali, ho perso mia figlia». Paola è un fiume in piena: «Io mi sento in grado di tenerla. E comunque nessuno me la può strappare via così. La stavo allattando, gli assistenti sociali hanno bussato al portone, sono saliti, mi hanno detto di lasciarla e l'hanno portata via».
È chiaro come ovviamente siano state seguite tutte le procedure dovute a un caso così particolare, aggravato comunque anche dalla situazione della nonna della piccola, convivente della madre, nota al Sert come ex tossicodipendente. Ma è altrettanto chiaro come Paola sia «turbata da questa situazione, una zappa sui piedi per la mia patologia». Nella segnalazione finita agli atti di quella che sta diventando una sfibrante battaglia legale, il medico che ha in cura la mamma ha sottolineato «la condizione di precarietà ambientale correlata alle carenze sia della paziente che della di lei madre». Il dottore spiega come «siano soddisfatte le esigenze abitative» e che mamma e nonna siano destinatarie, rispettivamente, di un assegno di invalidità e del reddito di cittadinanza. «Paghiamo l'affitto, ma non abbiamo problemi e tanto meno lo sfratto: la bimba poteva restare qui». In effetti, gli stessi assistenti sociali avevano ribadito come le due donne avessero preparato l'arrivo della bambina comprando tutto l'occorrente: insomma, la situazione è davvero complicata, ma loro giurano che ce la stavano «mettendo tutta».

Ma la segnalazione dello psichiatra, da cui Paola è ancora attualmente in cura, ha fatto partire un domino perverso finito con la sospensione della responsabilità genitoriale e l'allontanamento della piccola, che non ha ancora neanche tre mesi, in una struttura protetta. I servizi sociali, infatti, hanno segnalato il caso alla procura del tribunale per i minori che – chiaramente interpretando la diagnosi della madre come condizione di pericolo per la bambina, anche se mai esplicitata – ha emesso un decreto urgente e immediatamente esecutivo. Ma in effetti, lo stesso tribunale ha ordinato ai servizi sociali di consentire le visite tra madre e figlia in un ambiente protetto. Cosa che, però, nonostante la decisione e un'istanza di pochi giorni fa, ancora non è avvenuto.
«Io vorrei solo vedere mia figlia – dice ancora Paola -. Chiedo solo questo. Ho spiegato al giudice che sono disposta ad andare io in comunità con lei, sono disposta a qualsiasi cosa pur di riabbracciarla. Ma perché i servizi sociali non hanno ancora attivato gli incontri? Io vorrei far valere qualche mio diritto, non sono il presidente della Repubblica, lo so. Ma sento di essere stata abusata nel mio essere madre e donna. È vero, ho una patologia, ma non ho commesso nessun reato e non ho alcuna colpa. Ho bisogno di assistenza, non certo di vedermi strappata mia figlia dal seno».
Tribunale e servizi sociali hanno certamente avuto come priorità la tutela della piccola, ma tra i suoi diritti c'è anche quello del rapporto con la famiglia, che è possibile mantenere anche con il giusto supporto e le corrette attenzioni degli incontri in ambiente protetto. E questo Paola lo sa. «Sono disposta a tutto – insiste – ma adesso fatemela vedere». E chiude il suo appello spiegando commossa la scelta del nome della piccola, nato dall'unione di un nome a lei caro e un suffisso molto tenero. «Volevo per lei un nome carino e dolce. E adesso voglio solo vederla».

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