Il genio del Capitano tra giocate e trovate

Domenica 11 Gennaio 2015 di Piero Mei
«Mo’ me faccio er serfie» diventerà un tormentone, virale si dice ora, come «Mo’ je faccio er cucchiaio».

Frase, quest’ultima, che è diventato pure il titolo di uno dei tanti libri che hanno fatto il successo in libreria di Francesco Totti. Ricorderete quel giorno che andò sul dischetto del rigore dicendolo al suo vicino Di Biagio che, guardando Van der Saar tra i pali, gli disse: ma l’hai visto quant’è grosso? Tant’è: gli fece il cucchiaio, segnò, portò avanti l’Italia come gli è spesso capitato dal dischetto, vedere Germania 2006 e il rigore a tempo scaduto contro l’Australia.



Ieri, nel suo derby, se n’è inventata un’altra: il golfie, cioè il selfie da gol. Perché è Totti sì, è il Capitano, ma è rimasto il ragazzo di Porta Metronia, sbruffoncello e simpatico, di buon cuore e rugantino, bulli e pupe, un ragazzo romano, romanesco e romanista per sempre.



Quello che inventa le cose tecniche, come per l’appunto il cucchiaio estremo, il pallonetto geniale, il passaggio che raggiunge preciso il compagno che si sta smarcando e corre non sa dove, ma Totti lo sa ed è lì che gli manda l’aquilone, la giocata che vede in anticipo quel che sta per succedere in campo, un perenne ritorno al futuro.



Ma inventa anche le cose che fanno parlare: 6 unica, Vi ho purgato ancora, le magliette da far vedere sotto la seconda pelle che è la maglia giallorossa che lui non indossa perché è il tessuto che trattiene a stento i suoi muscoli, nervi ed ossa. Mica come quelli che pure facevano vedere la maglietta della salute, ma che squallore! I più mostravano il logo d’uno sponsor e, quando è stato proibito, son passati alle mutande, ugualmente e rigorosamente sponsorizzate, in attesa del tatuaggio.



Ecco per Totti il pallone che mima l’attesa di Ilary e il pancione sotto pelle-maglia, ecco il gesto del ciuccio quando è nato Christian, e l’ha fatto per Chanel e lo fa ancora, che arrivi o no il terzo figlio, ancora adesso che Christian è un giocatore in erba dicono “tutto il padre” come si usa in questi casi.



Eccolo salire sul trespolo d’un cameraman e riprendere il pubblico del suo derby (ne ha giocati 40, ha segnato quant’altri mai in campionato ma del resto sono quant’altre mai le cose che ha fatto quant’altri mai).



Ed eccolo al golfie, il selfie da gol: una cosa pensata nell’ottimismo dell’attesa. Se n’è visti di selfie in campo, ma sempre venivano da un invasore festoso che voleva il ricordo e il campione era, in definitiva, il coprotagonista dell’impresa. Anche i Papi (sia Francesco, Bergoglio, si specifica, che Benedetto) sono stati “selfati”; anche la Regina d’Inghilterra, ma sempre l’autore dello scatto era un altro. Con Totti siamo al vero selfie, all’autoscatto senza l’aggeggio di sostegno in vendita in tutti i marciapiedi e con il pubblico alle spalle.



E che pubblico! Il popolo della Sud. Perché quello è stato il teatro. Tanto che c’è da supporre che, come aveva organizzato il tutto affidando il cellulare al preparatore dei portieri dicendo “lo porti in campo e se ne segno due me lo passi e mi faccio il selfie”, da perfetto regista in campo qual è oltre che ogni altro ruolo, abbia atteso tutto il primo tempo senza farsi notare perché mica poteva fare il golfie sotto la Nord, sarebbe successo Caporetto.



E invece, passata la tempesta dell’inizio (che tempesta, che fulmini con Felipe Anderson giovanissimo Giove tuonante), è stato là sotto la Sud che è successo tutto. Un gol normale e uno da incendiare i cuori tifosi, un mezzo volo, un’acrobazia da Cirque du Soleil. E poi il selfie. Iturbe rimpiangeva di non aver saputo niente, di non aver capito, giacché altrimenti si sarebbe esercitato nell’azione del photobombing, cioè inserirsi a sorpresa nelle foto altrui). Al prossimo “golfie”, ora che Totti l’ha inventato. Aspettando i droni.
Ultimo aggiornamento: 12 Gennaio, 00:05

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