Renzi vuole l'intera posta per andare alle urne nel 2017

Mercoledì 30 Dicembre 2015 di Alberto Gentili
Il premier Matteo Renzi

«Se in ottobre perdo il referendum sulla riforma costituzionale considererò fallita la mia esperienza politica». E ancora: «Sono presidente del Consiglio e questo sarà il mio ultimo ruolo pubblico». Matteo Renzi, in un paio di passaggi della lunga conferenza stampa di fine anno, sembra scandire parole da mesto commiato. I piani del premier sono invece di tutt’altro tipo. E si riassumono in una road-map che suona più o meno così: by-passare le elezioni amministrative di giugno limitando i danni. Sbancare le urne in occasione del referendum costituzionale previsto per metà ottobre. E puntare dritto alle elezioni: Renzi dice nel 2018, alla scadenza naturale della legislatura. Ma in molti, a palazzo Chigi e dintorni, scommettono sul 2017.

Il primo step è la tornata elettorale in città dell’importanza di Roma, Milano, Napoli etc. Un appuntamento che ha il sapore di elezioni di midterm. Ma Renzi mette le mani avanti: «Il governo non è in gioco, si eleggono i sindaci, non il primo ministro». E fa capire due cose. La prima: per non rischiare la pelle, visto che soprattutto a Roma il successo è tutt’altro che scontato, non farà campagna elettorale. Il secondo: crede poco che si possa recuperare l’alleanza con Sinistra italiana, anche se è deciso a giocare la carta delle unioni civili per fare...”qualcosa di sinistra” e riagganciare l’elettorato legato alla tradizione del Pd: «Siamo disposti a fare accordi con SI, ma le alleanze si fanno in due. E prendo atto che chi stava con noi ora ha un solo obiettivo: fare perdere il Pd».

Il secondo step è il referendum costituzionale. Ed è qui che Renzi lancia la sua sfida. Annuncia che farà campagna per il sì alla riforma del Senato e al superamento del bicameralismo paritario. Mette sul piatto le sue dimissioni da premier nel caso dovesse uscire sconfitto. «Ma sarebbe ben strano che gli italiani», dicono a palazzo Chigi, «corrano a dire no a una riforma che colpisce la Casta, riduce i costi della politica e semplifica il sistema istituzionale. Roba da marziani».

Qui si arriva alla partita, quella vera. Obiettivo: governare altri cinque anni. Fino al 2023 o al 2022. Renzi parla di elezioni politiche nel 2018. Ma tra i renziani in molti scommettono sul 2017. La ragione: una volta incassato il successo referendario, il premier se andasse al voto nella primavera del 2017 («basta un incidente di percorso, un casus belli... Bersani & C. al riguardo si mostrano sempre molto generosi») potrebbe tornare a palazzo Chigi con una maggioranza forte e omogenea, senza la spina nel fianco della minoranza dem che lo fa tribolare. In più si lascerebbe alle spalle (con un anno d’anticipo) un Senato dove il governo arranca per la scarsità di voti.

«VINCO AL PRIMO TURNO»
L’Italicum, la legge elettorale che Renzi definisce «un capolavoro», cancella (elettoralmente) palazzo Madama e affida il premio di maggioranza al partito che al primo turno prende più del 40% dei voti. Ebbene, il premier è convinto di riuscire a tagliare questo traguardo: «Sono pronto a scommettere che vinciamo al primo turno. I Cinquestelle? I sondaggi non sono un problema. Anche nel 2014, alla vigilia delle elezioni europee, ci davano appaiati ai grillini. Ma poi il Pd ha preso il 40,8% e loro al 21%. Finirà ancora così...».

In ultimo c’è da annotare che Renzi seppellisce la commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche.

Lo fa parlando di «commissione d’indagine». Dunque, senza i poteri della magistratura. Questo perché Sergio Mattarella ha fatto garbatamente notare che una commissione d’inchiesta sugli ultimi 15 anni, come quella proposta dal Pd in Senato, rischierebbe di gettare sul banco degli imputati Bankitalia, Consob e perfino l’ex governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ora presidente della Bce. Un epilogo che al Quirinale non vogliono neppure prendere in considerazione.

Ultimo aggiornamento: 20:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA