Venezia, i nemici veri sono fuoco e fiamme

Domenica 19 Gennaio 2020
IL LIBRO
Proprio nei giorni in cui Venezia torna a fare i conti con l'Aqua Granda ha riportato prepotentemente alla ribalta il tema della fragilità della città, Gianpietro Zucchetta (dottore in chimica veneziano, uno dei massimi esperti italiani di incendi), ci ricorda che storicamente il nemico peggiore della città è il fuoco. Mentre la Serenissima aveva saputo governare le acque, poco (molto poco) seppe fare per contenere i danni causati dagli incendi. Venezia e il fuoco. Cronaca documentata degli incendi a Venezia, volume curato da Lineadacqua, frutto di un paziente lavoro di ricerca durato anni, racconta una storia della città vista da un'altra prospettiva, tra le fiamme e i fumi sprigionati dalla combustione dei legnami dei palazzi e delle case.
L'ESPERTO
Zucchetta ne parla con grande cognizione di causa, forte di un'esperienza quarantennale di fire investigator, con un migliaio di perizie svolte per conto dei tribunali italiani. Il numero degli incendi che nei secoli hanno colpito Venezia è spaventoso: decine di migliaia, con una frequenza che ha raggiunto picchi di 2-300 all'anno. Zucchetta li ha studiati tutti, li ha catalogati ed elencati in una sorta di Annales del fuoco, corredandoli di spettacolari immagini, quadri, stampe e foto che testimoniano l'eterna lotta tra acqua e fuoco. La cronologia parte dal 25 marzo del 428, quando un incendio distrusse 24 case e lo squero a San Giacomo di Rialto, e arriva fino ai giorni nostri. Una serie incredibile di roghi dovuti nella maggior parte dei casi ad incidenti e comportamenti colposi, ma non mancano i casi di dolo. E qui il pensiero corre subito alla Fenice, però Zucchetta nell'introduzione è categorico: «Sarebbe del tutto inutile cercare in questo libro un qualunque mio parere sull'incendio che nel 1996 ha distrutto per la seconda volta Il Gran Teatro La Fenice. La ragione è molto semplice: all'epoca dei fatti, per ben fondate ragioni, non ho voluto interessarmene professionalmente e oggi non ho alcuna voglia di andare a risvegliare antichi fantasmi che dormono».
I ROGHI
Da Palazzo Ducale al campanile di San Marco, dal Ghetto al Mulino Stucky, dalla Fenice (distrutta come noto due volte, nel 1836 e nel 1996) all'Arsenale, dal mercato di Rialto ai magazzini Coin, nei secoli tutti i luoghi simbolo della città hanno avuto a che fare con il fuoco, spesso con conseguenze disastrose, come viene raccontato nelle cronache che Zucchetta, con la preziosa collaborazione di Milena Zangirolami, ha scovato negli archivi storici. «Alla mezzanotte s'accese fuoco all'Arsenale, nel luogo della polvere e balzate alcune torrette, coperte di piombo e guardiani in aere, con terrore orribile, crollò quasi tutta la città», scriveva Francesco Molin, cronista, ricordando il rogo del 13 settembre 1569, che chiude con una visione apocalittica: «M'immaginai esser giunto il Giudizio Universale onde raccomandandomi al Signor Dio». La vulnerabilità al fuoco della città costruita sull'acqua sembra un paradosso, in realtà, come spiega l'autore, era una ovvia conseguenza delle tecniche costruttive, di fumi e faville dai camini, e la grande vicinanza delle abitazioni, rendevano Venezia una polveriera. L'innesco era facile, le tecniche di spegnimento piuttosto elementari. La Serenissima ha scoperto tardivamente, solo alla fine del Seicento, l'esistenza di macchine idrauliche che potevano catapultare o spruzzare l'acqua contro le fiamme. Fino ad allora le attrezzature per combattere il fuoco erano secchi e mastelle di cuoio, scale per arrampicarsi e gettare l'acqua prelevata, con una catena umana, dal più vicino canale.
IL QUARANTOTTO
Caduta la Serenissima nel 1797, l'alternanza di dominazioni austriache e francesi, che tante malefatte arrecarono a Venezia, portò anche al taglio dei fondi per la manutenzione delle macchine idrauliche che, nel giro di pochi anni, divennero inutilizzabili. E, ironia della sorte, quando nel 1848-49 Daniele Manin tentò di far rinascere la Repubblica Serenissima, e sulla città vennero catapultate dagli austriaci 5.380 bombe incendiarie, non si poterono usare nemmeno gli estintori ormai fuori uso. Il morbo infuria, il pan ci manca e sul ponte sventola bandiera bianca scriveva Antonio Fusinato. I tempi moderni, la fine della civiltà del fuoco, la scomparsa di legna e carbone per riscaldamento, l'obbligo dell'uso di gas metano, il crescente utilizzo di energia elettrica, hanno eliminato molte delle cause di innesco di un rogo. A questo si aggiunga la creazione di una rete idrica con in sistema di pompe d'emergenza che consentono ai Vigili del fuoco di attingere acqua con facilità. Ma la minaccia delle fiamme, come la storia recente conferma, è sempre presente.
Vittorio Pierobon
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci