Vendrame, il poeta del calcio

Domenica 5 Aprile 2020
IL LUTTO
La prima volta che l'ho visto giocare aveva 22 anni e indossava la maglia rossoblu della Torres in serie C. La Spal lo aveva preso per farlo esordire in A, ma al presidente non piaceva quel ragazzone alto con i capelli lunghi, la barba nera, le camicie hippy e i pantaloni a zampa d'elefante. Troppo ribelle per il calcio di allora, composto e stirato e un po' ipocrita. Così lo mandò in prestito un anno a Sassari e un altro a Siena.
Ezio Vendrame da Casarsa della Delizia era un ribelle di talento, aveva piedi da fuoriclasse e testa da ubriaco della vita e dei suoi piaceri. È morto a 72 anni. Hanno detto che è stato il George Best italiano e come l'asso irlandese è morto consumato prima del tempo. Avevano in comune la passione per le donne e per il vino. Per Giampiero Boniperti, presidente della Juventus, somigliava all'argentino Kempes. Avevano in comune la fantasia, la forza, i capelli al vento e il no deciso a ogni imposizione. Poi è stato il poeta del gol perché scriveva poesie e anche il «Pasolini del gol perché era nato nel paese di Pier Paolo. Per un'intervista diede appuntamento davanti alla tomba dello scrittore: «È il mio compaesano più vivo».
Vendrame è stato il simbolo di quello che avrebbero potuto essere il calcio italiano degli Anni Settanta. Per i piedi e la genialità sarebbe potuto arrivare più lontano di tutti, a incominciare dalla Nazionale. Filippo Andreani, giovane cantautore con la passione per il calcio, ha scritto una canzone: «Io, tra Mazzola e Rivera, avrei scelto Vendrame/ non scelgo ragazzi dorati, li cerco di pane/ e certi miei amici hanno facce sporche e sincere». Per il disco, Ezio Vendrame si è prestato come voce narrante.
DONNE E CANZONI
Avrebbe meritato un grande club, forse alla Juve o al Milan sarebbe stato costretto a giocare come sapeva. Un anno Vinicio lo volle a ogni costo al Napoli, poteva essere la grande occasione, lui fece di tutto per finire fuori squadra. Le donne gli piacevano più del calcio: in trasferta a Cagliari si fece mandare in tribuna e si chiuse nel bagno dello stadio con una ragazza. Raccontò ogni cosa nel suo primo libro di successo Se mi mandi in tribuna godo, pubblicato dalla Biblioteca dell'Immagine di Pordenone. Il libro mandò a gambe levate un pezzo di mondo ipocrita. Ma forse la sua grandezza è proprio nell'immaginare la parte che non ha voluto esprimere, il talento che non ha voluto mostrare. Diceva: «Al mondo ci sono stati tre giocatori di calcio: Maradona, Zigoni e Meroni. Il resto è noia». Chiusura alla Califano, perché lui amava la canzone, suonava la chitarra. Era amico di Piero Ciampi, una volta all'Appiani uscì dal campo, durante la partita, per salutare il cantautore livornese in tribuna. Quando Ciampi morì, chiese un fiore appena colto e un bicchiere di vino fresco.
La prima volta che l'ho visto giocare c'era già tutto Vendrame. Aveva deciso di estraniarsi, le mani ai fianchi, e i tifosi incominciarono a urlare: «Toccala! Toccala!». Volevano che almeno toccasse la palla. Lui quasi strappò il pallone al suo portiere, fece tutto il campo scartando anche l'arbitro, mise a sedere mezza squadra, entrò in porta, sollevo il pallone tra le mani e lo mostrò al pubblico: «Ora l'ho toccata, non rompetemi le scatol». Fu il gol della vittoria e anche l'entrata nella leggenda della piccola storia della società che un anno dopo avrebbe regalato al grande calcio Cuccureddu e anni dopo Zola.
DRIBBLING
Si ripeterà con la maglia del Padova contro l'Udinese: ai tifosi friulani che lo offendevano mostrò la bandierina del corner e disse che da lì avrebbe segnato. Fu di parola e preciso: fece il gol della vittoria su calcio d'angolo. E pensare che i bianconeri gli avevano offerto milioni perché facesse finta di non giocare. O come quella volta che in una partita, lui dice combinata, tra Padova e Cremonese destinata allo zero a zero, prese la palla dalla sua area e volò dritto verso la porta avversaria seminando compagni e avversari come birilli, poi si fermò proprio sulla linea e tornò indietro. «Giusto per dare un'emozione». Per qualcuno fu quasi un infarto.
Forse dietro gli atteggiamenti e la ribellione c'era una vita difficile da bambino. Era nato in una casa vicina ai binari morti di una ferrovia, i genitori si erano separati e lui era finito in orfanotrofio: «Trovarsi orfani con i genitori ancora vivi». Lo salvò il pallone, a 13 anni un medico dell'Udinese lo notò mentre giocava sull'erba di montagna di una colonia e convinse la società bianconera a prenderlo: vitto e alloggio e 5.000 lire al mese; per arrotondare puliva gli spalti per mille lire. Si sparge la voce di questo giovane che ha piedi buoni, che sa giocare indifferentemente da ala e da mezzala, ha spalle larghe e altezza buona, come la razza Piave del pallone cara a Rocco e Viani. Comprò il cartellino Paolo Mazza che guidava la Spal come una fabbrica-collegio e ogni anno vendeva in giro i pezzi migliori, da Reja a Capello a Bigon. La carriera calcistica di Vendrame è esplosa nel Lanerossi Vicenza di Giussi Farina dal 1971 al 1974, accanto a Damiani, Faloppa, Vitali. La dimensione giusta della provincia con colline e trattorie da rosso corposo e bigoli. Prima, però, a Vendrame capitò di fare un tunnel a Gianni Rivera, che era il suo idolo calcistico. Lo attese alla fine della partita per chiedergli scusa.
LA SECONDA VITA
La seconda vita calcistica è stata col Padova che se la passava nel purgatorio della C e all'alba degli Anni '80 col Pordenone contribuendo alla promozione in C2. Un anno dopo nello Junior Casale si fa squalificare per aggressione a un arbitro.
Poi la sua seconda vita, scrittore e poeta, libri di successo, anche con Rizzoli e Mondadori: Una vita in fuorigioco, Il mio male ti avvelenerà, Parole senza domani Va anche al Festival di Sanremo, ospite nell'edizione di Bonolis del 2005, si fa trascinare in una polemica inutile su Gigi D'Alessio.
Tra depressione e solitudine si chiude sempre più in se stesso, si stringe alla compagna Fatima, si trasferisce nel Trevigiano. L'amico Zigoni ricorda: «Non lo vedevo da tempo, mi ha mandato a dire che se volevo vederlo dovevo rivolgermi a Chi l'ha visto?. Era così». Non amava le interviste, l'ultima a ottobre l'ha concessa all'amico Roberto Vicenzotto sul Gazzettino: «Se devo parlare con degli imbecilli, preferisco morire di solitudine». Non aveva messo nel conto il cancro al pancreas che in pochi mesi l'ha condannato. Sembrava quasi avesse previsto tutto: «A Casarsa non ci metto piede da anni. Ricambio così l'odio della mia gente. Pasolini fuggì e ritornò in una bara. Seguirò lo stesso percorso».
CUORE
Mi raccontava due storie. A Siena, dove il presidente Nannini quello del panforte e padre della rockstar gli dava 300 mila lire al mese, una sera si comprò un cappotto come non lo aveva mai avuto. C'era freddo, quasi neve, uscì dal negozio e vide un mendicante mezzo nudo, si tolse il cappotto e glielo avvolse alle spalle.
Il calcio gli aveva lasciato la voglia di insegnarlo, aveva scelto nella Bassa Friulana una squadretta senza pretese e senza steccati, come piaceva a lui. Un giorno scoprì che il suo amico down non aveva mai visto il mare, mandò tutti a casa, caricò l'amico sulla sua scassatissima Golf e corse fino al mare. Era il mare d'inverno, si sedettero sulla spiaggia e Ezio fece la sua giocata migliore, più preziosa del tunnel a Rivera, più forte dello sberleffo a Vinicio, grande come le finte di Best.
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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